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San Marco o dei tedeschi

Michele Masneri

A Venezia sono rimaste solo le truppe turistiche germaniche a invadere calli e campi, sfidando le chiusure imposte dalla pandemia. Così la città è mezza chiusa e in molti sono nostalgici di grandi navi e over tourism

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A Ferragosto arrivi a Venezia e oltre ai cinquemila gradi percepiti hai subito quel terribile sospetto: che l’idea della partenza intelligente non ce l’hai avuta solo tu: tutti, in quest’estate post covidica, dell’Italia agli italiani, sembrano aver avuto la stessa originale pensata: vediamo Venezia vuota (qualcuno, anche, dice: “Vuota come un quadro di de Chirico”).

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A Ferragosto arrivi a Venezia e oltre ai cinquemila gradi percepiti hai subito quel terribile sospetto: che l’idea della partenza intelligente non ce l’hai avuta solo tu: tutti, in quest’estate post covidica, dell’Italia agli italiani, sembrano aver avuto la stessa originale pensata: vediamo Venezia vuota (qualcuno, anche, dice: “Vuota come un quadro di de Chirico”).

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Dunque arrivi, e niente de Chirico, ma oltre ai cinquemila gradi, vaste folle. Effettivamente Venezia post Covid è piena, o semipiena, o mezza vuota, di sicuro vuota vuota proprio no: dopo un po’, superata la delusione, ti accorgi però che le folle sono diverse, ecco. Nelle code ai vaporetti, che sembrano esattamente pari a prima, in realtà si parla soprattutto tedesco: ci sono dei grupponi che sul vaporetto e nelle calli hanno sempre un anziano di mezza età e la pelle scottata dal sole che dà gli ordini, e dietro parenti e congiunti, che eseguono i vari “schnell”, “schnell”, ai quali bovinamente dopo un po’ ti adegui anche tu (sarà l’antica abitudine).

 

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Sui vaporetti trasformati in mezzi della marina germanica poi le cose si fanno ulteriormente difficili: le corse sono state molto tagliate, ecco perché gli assembramenti: e i vaporettisti forse imbruttiti dalla pandemia non annunciano più le fermate, dunque ti devi scapicollare per vedere i cartelli, tra il muro di tedeschi in infradito (la Venezia post Covid è per uomini duri: l’ultimo vaporetto dall’aeroporto parte alle 18,30, anche se l’ultimo aereo atterra alle 18,35).

 

I tedeschi sembrano apprezzare questa Venezia per uomini duri, e marciano indomiti. L’italiano invece soffre delle vessazioni, l’italiano che aveva deciso di farsi la sua estate autarchica, che si accalca per vedere Firenze e Roma e Venezia deserte oltre a trovarle piene si trova accodato a questi drappelli prussiani che spadroneggiano, calati dal fatale Brennero. “Vai al parcheggio di piazzale Roma a vedere”, dice un amico, e infatti, lì, tutto esaurito: di Mercedes e Audi targate Monaco e Francoforte, scese da Germania e Austria, nel solito giro Gardasee-Venedig che a loro piace sempre tanto.

 

Dunque Venezia è tornata quella di “Senso”, e ci sentiamo tutti delle contesse Serpieri, a vagare nelle calli di notte, con l’occhio accorto a non farci sorprendere dalle milizie asburgiche, e però questi non son gli austriaci con le divise viscontiane bianche, son piuttosto dei tedesconi coi pantaloni a pinocchietto e fiocchetti, e insomma il paragone non regge. Qualcuno preso dall’entusiasmo si butta pure: due turisti tedeschi si son fatti una nuotata nel Canal grande, passando sotto il ponte di Rialto, subito intercettati da truppe italiche anfibie. Qualcun altro dorme nelle calli, come in un camping sul Garda. Daspo urbano, subito, certo: ma serviranno altre guerre di indipendenza?

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“Sì, ci sono molti tedeschi e austriaci”, mi conferma Caterina Sopradassi, guida turistica specializzata in giri sofisticati e autorità – che rimpiange molto gli americani, non solo Michelle Obama con le bambine ma anche il boss pellerossa James Edward Billie, capo tribù degli Indiani Seminole della Florida, che posseggono la catena Hard Rock Cafe – mentre adesso di questi personaggi d’alto livello nisba.

 

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Gli americani mancano tantissimo anche a Domenico Stanziani, oste veneziano top, con i tavolini del suo ristorante “Il Colombo” affacciati sul campo del Teatro, mentre sulle facciate dei veneziani fa proiettare “Venezia, la luna e tu”, con Alberto Sordi improbabile gondoliere Bepi, gran seduttore di turiste americane. Stanziani mostra commosso la foto di un enorme branzino al sale fatto qualche sera fa al regista di Mission Impossible Christopher McQuarrie, che doveva girare il 7 della leggendaria serie, ma la produzione si è fermata per il Covid.

 

“Dice che non ricreeranno Venezia in studio, ma aspetteranno”, dice fiducioso. Così Mission Impossible aspetta Venezia. “Gli americani”, sospira Stanziani. “Se si ferma l’America si ferma tutto!”, sospira il ristoratore, che è la prima volta in vita sua che chiude bottega, “e nei giorni del lockdown facevo dei giri larghi per non passarci, dal ristorante, perché vederlo vuoto mi faceva male”. Stanziani rimpiange anche i russi, e comunque popoli in grado di sedersi “e ordinare un bel piatto di crudi, e una bella pasta, con una bella bottiglia”; sottotesto, i tedeschi non lo fanno.

Altrove, fuori dai percorsi più classici, qualcuno è contento di questa Venezia priva delle orde straniere. In campo Santa Margherita, specie di Campo dei fiori veneziano, baretti e ristorantini etnici, c’è la libreria indipendente “Marco Polo”, libreria ganzissima di ricerca, che ha tutto un suo circuito di clienti e di presentazioni, e non solo non soffre ma “stiamo andando benissimo”, dicono, ed eccoci al refrain di quanto è bello riappropriarsi della città, come i delfini con le calli – però l’acqua proprio azzurra non è (ma i tedeschi ci si tuffano uguale): siamo sicuri che questo over tourism sia schifoso e che Venezia vuota sia ancora Venezia?

 

Tutto grida pestilenza nella Venezia di ieri e di oggi. Anche nei negozi di maschere: “E’ famosa quella del dottore della peste”

“E’ chiaro che puntare sul turismo massificato ha dei rischi”, dice la Sopradassi, “l’abbiamo già visto dopo le Torri gemelle”, quando per un bel po’ gli americani smisero di viaggiare; e poi questo over tourism vede sempre e solo due cose: “Passano da San Marco a palazzo Ducale e lì si fermano, e farli uscire da quel quadrilatero è impossibile, perché han comprato dei tour nelle agenzie che gli fanno la combo Florence-Venice-Rome and The Pope e poi vanno al sud, e a Venice ci stanno sempre il minimo indispensabile”.

 

“Anche se a Venezia si accorgono che non c’è solo palazzo Ducale”, ma a quel punto è troppo tardi, è pronto il torpedone per Florence. Insomma abbasso l’over tourism, ma siamo sicuri? Senza i turisti di massa la città è inquietante, perché si vedono solo le migliaia di negozi di maschere e di cappelli, e gelati, e baicoli e i negozianti con facce feroci che guardano male gli italiani loro connazionali, che evidentemente non hanno potere d’acquisto. Questi poveri italiani che hanno progettato queste vacanze intelligenti e dicono “è come un quadro di de Chirico!”, a piazza San Marco (ma perché solo e sempre de Chirico, poi? E un Savinio, almeno, un Hopper? Niente).

 

Ci sono centinaia di supermercati. “Ci chiedono sempre: ma come fate a fare la spesa a Venezia: ma non vedete che ci sono più supermercati che in ogni altra città del mondo?”, dice al Foglio Claudio Nobbio, decano veneziano dei direttori di grand hotel e presidente onorario dell’Ada (Associazione dei direttori d’Albergo). “Il problema è sempre lo stesso, ci vorrebbe un turismo diverso, non diecimila turisti che portano un euro ma cento che ne portano cento”. Ma non è possibile. “Se cerchi una camera non la trovi”. Perché è tutto pieno? “No, perché è tutto vuoto. Sono aperti solo i grandi alberghi, il ‘Bauer’, il ‘Monaco’, mentre i piccoli son tutti chiusi, gli conviene di più”.

  

All’orizzonte mancano anche le grandi navi, le navi da crociera che erano il grande nemico, il simbolo dell’over tourism fino a pochi mesi fa; coi loro turisti “che mangiano a quattro palmenti sulle loro navi e poi scendono con le loro guide, e percorrono a tappe forzate il centro, anche i vicoli secondari che prendiamo noi veneziani, quelli puzzolenti”, racconta Ruben Baiocco, urbanista allo Iuav. Però non è che ci sia proprio da brindare. “Alcuni esultano perché tante compagnie hanno deciso che andranno altrove: Royal Caribbean ha annunciato che nel 2021 userà Ravenna come porto di partenza e arrivo per la nave Rhapsody of the Seas (2.400 passeggeri). Però l’hanno deciso loro, e non noi, quindi non capisco cosa ci sia da brindare”.

 

“Ma poi a Ravenna cosa ammireranno, dai loro ponti? Il Papeete?”, si chiede Nobbio, che ha una teoria tutta sua. “Se giri la questione, da queste navi hai una vista incomparabile. Come gli ecomostri. Se ci abiti dentro, è bellissimo perché non li vedi”, dice lui, che sogna un giorno di fare una crociera su una grande nave, ma solo attorno a Venezia, e poi scendere, per vederla dall’alto di quei ponti altissimi”. Come un suo amico velista che dopo anni in Croazia quest’estate ha armato la barca e gira intorno a Venezia, la sua città: in una specie di crociera da fermo: la laguna, le isole meravigliose, Burano, Torcello”.

 

“Combattere le grandi navi non basta, le navi ci sono sempre state a Venezia, semplicemente sono diventate più grosse”, dice Baiocco. “Ma eliminarle e basta non ha molto senso: piuttosto, bisognerebbe ridiscutere la dimensione portuale di Venezia, ma ridiscutere Venezia non interessa veramente a nessuno; e non traggano in inganno i manifesti elettorali che allignano tra calli e campi; perché qui si vota pure per il sindaco, a settembre, insieme alle regionali e al referendum; perché a Venezia ormai abitano solo 50 mila persone, in maggioranza degli anziani che votano Pd”, dice Baiocco, “e i voti veri si prendono a Mestre, duecentomila abitanti, e dove infatti si costruisce e si progetta, compresi tanti hotel di fascia media, mentre a Venezia è il trionfo dell’Airbnb, e dei piani terra ex magazzini trasformati in stanze da affittare”.

 

Gli americani mancano anche a Domenico Stanziani, con i tavolini del suo ristorante “Il Colombo” affacciati sul campo del Teatro

“Però, anche lì, che vuoi farci? Non puoi demonizzare il fenomeno: non puoi incolpare Airbnb di tutti i mali, perché in tanti la usano come ammortizzatore sociale, come reddito integrativo, e vivere a Venezia è sempre più costoso”. Che fare dunque? Dopo il sussidio per chi si sposa in Puglia, quello per chi si trasferisce a Venezia?

Forse converrebbe puntare su turismi specifici molto di nicchia. Del resto “la quarantena l’hanno inventata qui”, ricorda Baiocco. “Nel 1468 un decreto del Senato della Serenissima istituisce un Lazzaretto per la prevenzione dei contagi, e l’isola diventa luogo di ‘contumacia’ per le navi che arrivavano dai vari porti del Mediterraneo, sospette di essere portatrici del morbo. Stavano lì quaranta giorni, per vedere se erano infette”.

 

Il Lazzaretto viene chiamato “Novo” per distinguerlo dall’altro già esistente vicino al Lido (detto “Vecchio”), dove invece erano ricoverati i casi manifesti di peste. E perché, per rilanciare questo benedetto turismo di qualità, non pensare a tour della pandemia? Io pagherei. Gli americani avrebbero creato un grande parco a tema. “Non so”, dice la Sopradassi, “forse meglio di no, per scaramanzia”. Rimane il fatto che il tema c’è, ed è centrale a Venezia, città che vanta un expertise senza pari in fatto di pesti e affini, e che quasi per nemesi e contrappasso è stata una delle città italiane meno colpite dall’ultima pestilenza, oltre che centro della regione che meglio l’ha gestita.

 

Ecco anche location già belle e pronte: Lazzaretto vecchio e nuovo, Salute e Redentore, e una serie di ricorrenze tematiche: a luglio, quest’anno, è stata annullata proprio la festa del Redentore, che da cinquecento anni festeggia ogni terza domenica di luglio la fine della micidiale peste del 1575, quella che decimò 50.000 veneziani, un terzo degli abitanti. Poi c’è il 16 agosto, festa di San Rocco, continua Sopradassi, “patrono degli appestati, rappresentato da Tintoretto nella omonima scuola grande”; e poi la festa della Salute, il 21 novembre, per la fine della peste del 1630, quella manzoniana, e insomma tutto grida pestilenza nella Venezia di ieri e di oggi, anche dai negozi di cianfrusaglie e maschere: “una delle più famose è quella del dottore della peste, quella bianca col lungo becco”, informa la guida.

 

“Se giri la questione, da queste navi hai una vista incomparabile. Come gli ecomostri. Se ci abiti dentro è bellissimo perché non li vedi”.

E in quel becco, il dottore della peste (che vestiva un lungo abito di tela cerata, per proteggersi dal virus), “teneva erbe e fiori e spezie (lavanda, timo, mirra, ambra, canfora, chiodi di garofano, aglio e spugne imbevute di aceto)”, insomma un specie di Ffp2 d’epoca. E viene in mente un altro veneto che in questa pandemia si è distinto per la creatività, Fabio Franceschi, fondatore di Grafica Veneta, quella che stampa tutti gli Harry Potter, e che si è inventato una mascherina di carta con la carta dei suoi libri, e ne ha fatte 4 milioni che ha regalato e recapitato. E insomma “the land of Venice”, come il Veneto si promuove quest’anno in una campagna pubblicitaria, si conferma terra preparata e creativa sulle epidemie: davvero non vogliamo farlo, questo parco a tema?

 

Volendo, altri giri filologici: al Lido per fare un’altra Morte a Venezia però no, troppo caldo: oltre tutto, il “Des Bains” è ancora chiuso per restauri, ne è aperta solo la spiaggia, presa d’assalto come i bagni Alberoni, tutti esauriti, pieni di italiani e tedeschi che volevano vedere Venezia, per la prima volta, vuota: già, proprio deserta. E lì, grondare come un Aschenbach fuori tempo massimo (un altro tedesco innamorato di Venezia, nonostante, e anzi, a maggior ragione, grazie a una bella epidemia in corso).

 

Il rischio sarebbe di ammirare dei Tazi non nordeuropei ma di Roma nord, che son stati prima a Ibiza e importano il morbo: no grazie. Meglio allora chiudersi al fondaco dei tedeschi, ora mall di massimo lusso ristrutturato da Rem Koolhaas, e già grande magazzino cinquecentesco che serviva da show room alle merci germaniche: nel loro scaltro distanziamento sociale ante litteram, i veneziani confinavano gli stranieri nei loro fondaci, casa e bottega: e lì dovevano rimanere. Ma oggi, con l’aria condizionata, pare il luogo migliore in cui stare: dall’alto c’è anche una bellissima vista, quasi come da una grande nave da crociera.

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