Padania blues

Simonetta Sciandivasci

La recensione del libro di Nadia Busato, Sem, 272 pp., 16 euro

Tutto il mondo è una macroregione e ha crudeltà di provincia, sempre le stesse, che inchiodano chi ci abita a una fuga perpetua e immobile. Fuggire restando fermi è l’arte dei provinciali, ed è su questo che Nadia Busato ha costruito il suo romanzo di una storia vera, trovata nelle pagine di cronaca locale (se tutti gli scrittori la sfogliassero, finirebbe quella palla della distopia, ché i fatti che succedono ai confini dell’impero sono assai più inimmaginabili di quelli che inventano i romanzieri dell’apocalisse, ma questo è un auspicio personale, mi scuso).

  

La storia: un incendio doloso appiccato per accaparrarsi i soldi dell’assicurazione, e tutta la sua irresistibile eziologia che coinvolge due matrimoni, uno che invecchia e l’altro che nasce, entrambi adulterini; un riccastro e il suo amante; la televisione con la quale i maschi di casa hanno “un rapporto molto confidenziale”; un’ucraina seducente e abbandonante; un parrucchiere omosessuale e la sua migliore amica e collega, la reginetta del libro, Barbara detta Barbie, che è bella, quasi bellissima, bambolesca, diavolesca, molto allegra – “ha l’innamoramento facile”, dice lei e dicono anche gli altri.

 

Protagonisti ordinari, e tutti dotati di una loro stranezza che fa simpatia oppure orrore, e che in provincia è eccentricità, mentre in città sarebbe nevrosi, e avrebbe un costo alto (psicoterapia o isolamento o entrambe le cose).

 

Siamo nel nord est padano, al tempo in cui la macroregione idealizzata dalla Lega, che è Bossi e anche un po’ Maroni, è un posto in cui si muore (“Il telegiornale ha detto che la valle del Po sta morendo. Troppo cemento, troppo veleno: è una necroregione”), che non è adatto a un curriculum da star ed è per questo che ispira la conversione regionalista padanista (“Il babbo aveva votato repubblicano tutta una vita perché gli piaceva La Malfa. È l’unico serio, diceva. Poi, una sera che si guardava il tg e il Formigoni pareva si candidasse per la quarta volta anche se non si poteva, annunciò che era ora di finirla e che per protesta anche lui avrebbe iniziato a rompere i coglioni, dunque a votare Lega”). Busato scrive tra i ringraziamenti che questo suo libro è una dichiarazione di guerra al decoro e al produttivismo padano, ed è vero, le è riuscita benissimo, ma è pure un libro perfetto per capire il leghismo e i prodromi della svolta salviniana.

  

A Ogno tutti sognano di scappare, nessuno lo fa, tutti si credono migliori degli altri, tutti spettegolano, tutti hanno lo stesso potere condizionante sugli altri e tutti, se pure lo subiscono e sanno il male che provoca, lo esercitano incondizionatamente, per nulla impietositi. Sembrerebbe il sud, se non fosse che tutti nascondono l’estro per paura di sembrare improduttivi, tutti sognano soldi prima che gloria, case prima che amori.

 

Busato ha la maestria dei narratori americani, ha scritto qualcuno. Forse sì, ma ha soprattutto il tocco irresistibile di Lina Wertmuller in “Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica”, che è un film del 1996, o di domani. Come la Padania di Busato, che non si muove da dove sta anche se produce, corre, impazza, muore e non s’estingue. E infatti il blues la suona perfettamente.

  

PADANIA BLUES
Nadia Busato
Sem, 272 pp., 16 euro

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