Lo Strega a Pagina 69

Tra pesche e filande

Mariarosa Mancuso

Nel romanzo di Benedetta Cibrario c’è abbastanza per dimenticare il titolo poco allettante e gustarsi il resto

Abbiamo sempre faticato a conciliare il Liquore Strega che stazionava nelle vetrinette dei parenti siciliani – devoti seguaci del buffet e controbuffet – con il principale premio letterario italiano. Pensavamo che fosse lì per bellezza e per un tocco di colore, prima di vedere i vincitori bere dalla bottiglia. Poi a tutto si fa l’abitudine, anche al vincitore annunciato con indecente anticipo, prima ancora che consegni il manoscritto da premiare. Salvo sorprese dell’ultimo momento, come usa dire per non farsi trovare impreparati.

 

Un paio di titoli in cinquina rendono la prova di pagina 69 – assaggio selettivo, più affidabile del risvolto di copertina che promette sempre meraviglie, inaffidabile quanto un artista della truffa – un po’ più laboriosa del solito. Un romanzo di 200 pagine è diverso da uno di oltre 700, tante (e pure fitte) ne conta “Il rumore del mondo” di Benedetta Cibrario, che per ordine alfabetico apre il carotaggio.

 

Esce da Mondadori, all’inizio di pagina 69 leggiamo “il cavaliere Thaon de Revel appena arrivato dalla Prussia”, e subito siamo ben disposti: dopo tanta autofiction senza allontanarsi da casa, finalmente una che racconta storie altrui, ambientate nell’Ottocento. A raccontare di Thaon de Revel e di molto altro – si parla di cartoncini fotografici in vendita sullo Strand, agli occhi dei contemporanei una moderna diavoleria – è la figlia di un ricco mercante di seta londinese. Si chiama Anne Bacon (dei risvolti almeno per i nomi ci si può fidare), teme di essere noiosa, chi l’ascolta la rassicura: “Siete una narratrice nata”. Anche il lettore si sente confortato, se non altro si pongono il problema.

 

Qualche riga dopo scopriamo che l’Ottocento romanzesco già vanta viaggiatrici esperte che su un quadernetto con la copertina di cuoio rosso annotano i resoconti delle escursioni compiute e delle ottime trattorie frequentate. Ne ha già riempiti parecchi, Anne Bacon, e quando si parla per esempio di Inghilterra, commenta “nessuno la lascia mai davvero, è un paese che non permette ai suoi figli di distaccarsene troppo”.

 

A chi arriva da fuori, come l’ufficiale piemontese Prospero Carlo Carando di Vignon – dice di sé: “Non sono né un antiquario né un poeta, non ho conosciuto né Bryron né Shelley” – Londra appare chiusa e snob. Siamo a pagina 169 per un supplemento di indagine, sempre trascinati da una romanziera che qui lascia parlare i personaggi. Prospero, appunto, che scarso di inviti nelle case private se ne va ai Wauxhall Gardens: “Si fa musica e ci si intrattiene gradevolmente senza bisogno di un invito formale”. Ci sono i palloni aerostatici, le pantomime, “un vinaio che per pochi scellini offre vino e bicchieri”. Ci sono anche le ragazze “eleganti e socievoli, sembrano molto più spigliate rispetto alle nostre ragazze torinesi. Il clima umido e la scarsità di sole rendono la carnagione femminile davvero magnifica”.

 

Sono i piaceri del romanzo storico, scritto con un occhio ai tempi nostri. Anne Bacon, una delle ragazze, sposerà Prospero, che non essendo poeta non bada alle ripetizioni: “Per la prima volta mi sono sentito interessante per occhi anglosassoni”. Di pagina 69 in pagina 69 (l’ultima è la 669), troviamo pesche assaggiate per la prima volta, una filanda modello che fornisce alle operaie assistenza medica e istruzione, un richiamo alla Regina vergine (il matrimonio non ha funzionato per niente), un accenno al commercio della seta. Abbastanza per aver voglia di dimenticare il titolo poco allettante e gustarsi il romanzo da cima a fondo.

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