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La differenza tra promuovere la pace e promuovere il pacifismo

Le lettere al direttore del 27 maggio 2022

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Al direttore - Le luci della ribalta si sono potentemente accese su De Mita negli anni Ottanta che lo incoronarono segretario della Dc e poi anche presidente del Consiglio. Di quella stagione tutto è noto, ovviamente con le tante e diverse interpretazioni che la storiografia sempre riserva alle vicende umane. Nel ricordare De Mita non può essere però sottaciuto il tempo precedente. Eletto deputato nel 1963, in una difficile battaglia vinta con il sostegno di un po’ di volenterosi, De Mita mandò subito all’aria un certo modo di far politica ancorato allo stile del vecchio notabilato. “L’Italia dei notabili”, che Montanelli collocava nei primi decenni di vita dello stato unitario, in realtà è sopravvissuta molto più a lungo. Ancora dopo l’avvento della Repubblica la politica italiana non si era compiutamente emancipata dal quel modello.

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Al direttore - Le luci della ribalta si sono potentemente accese su De Mita negli anni Ottanta che lo incoronarono segretario della Dc e poi anche presidente del Consiglio. Di quella stagione tutto è noto, ovviamente con le tante e diverse interpretazioni che la storiografia sempre riserva alle vicende umane. Nel ricordare De Mita non può essere però sottaciuto il tempo precedente. Eletto deputato nel 1963, in una difficile battaglia vinta con il sostegno di un po’ di volenterosi, De Mita mandò subito all’aria un certo modo di far politica ancorato allo stile del vecchio notabilato. “L’Italia dei notabili”, che Montanelli collocava nei primi decenni di vita dello stato unitario, in realtà è sopravvissuta molto più a lungo. Ancora dopo l’avvento della Repubblica la politica italiana non si era compiutamente emancipata dal quel modello.

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Nel Mezzogiorno, in particolare, il suffragio diventato universale con l’estensione del voto alle donne già dal 1945, non spazzò via l’antica pratica. Non mancarono nel Dopoguerra personaggi politici di grande cultura e, per certi versi, capaci di grandi visioni moderne, ma generalmente non si staccarono dallo stile del notabilato, con la spiccata vocazione a privilegiare il personalismo. Questo tratto continuava così a tenere ancorata la politica a una certa forma di “privatizzazione” che, per Max Weber, era uno dei tratti distintivi della politica dei notabili. Fu De Mita a realizzare, sotto tale profilo, un’autentica rivoluzione, introducendo il senso della collegialità del fare politica per progetti ambiziosi. Da capofila riuscì a tirare su elettoralmente compagni di cordata, per far ciò, talora rinunziando generosamente, e intelligentemente, a più vistosi successi personali. Nel collante di una  singolare sintonia culturale e spirituale e nel segno della sua moderna leadership, seppe così dar vita a un nuovo modo di essere della dirigenza politica. 
Ortensio Zecchino

 


 

Al direttore - Il 7 agosto 1992, il segretario della Santa Sede Angelo Sodano rilasciò questa dichiarazione, ovviamente concordata con Giovanni Paolo II: “Per frenare questa guerra [in Yugoslavia], per recare soccorsi alle popolazioni e per indagare sulle accuse di atrocità in campi di concentramento, per i quali la Santa Sede ha notizie più che sicure, gli stati europei e le Nazioni Unite hanno il dovere e il diritto di ingerenza, per disarmare chi vuole uccidere”. Il 5 dicembre 1992, nel discoraso alla Fao, Giovanni Paolo II disse: “Sia reso obbligatorio l’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici”. Il 17 gennaio 1993, nel discorso al corpo diplomatico, sempre sulla guerra in Yugoslavia precisò: “Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici siano state messe in atto e che, nonostante questo, delle intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, gli stati non hanno più il ‘diritto all’indifferenza’. Sembra proprio che il loro dovere sia di disarmare questo aggressore”. Un anno dopo, nel gennaio 1994, ancora al corpo diplomatico, Papa Wojtyla spiegò: “La Sede apostolica, da parte sua, non cessa di ricordare il principio dell’intervento umanitario. Non in primo luogo un intervento di tipo militare, ma ogni tipo di azione che miri a un disarmo dell’aggressore”. Altri tempi.
Michele Magno

Il punto, per stare ai nostri tempi, è tutto qui: capire che differenza c’è tra promuovere la pace e promuovere il pacifismo. “E’ lecito fermare l’aggressore ingiusto”, disse Papa Francesco nel 2014, ai tempi della violenta campagna dell’Isis in Iraq. Sarebbe bello sentirlo ripetere anche in questi giorni.

 


 
Al direttore - Nel merito della normativa che regola il 5 per mille – nato per sostenere le organizzazioni no profit e il loro impegno sociale, nella ricerca scientifica, nella realizzazione di fini di interesse generale – interviene la proposta di un emendamento già approvato in Senato e in questi giorni oggetto di discussione alla Camera dei deputati. La proposta sul tavolo prevede l’estensione dello strumento per sostenere il fondo assistenza per il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate. Richiesta verso cui il mondo del Terzo settore, tra cui Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), ribadisce un secco e deciso “No”. No, in primis perché il 5 per mille è quello strumento di sussidiarietà fiscale che permette ogni anno ai cittadini di scegliere a chi destinare parte delle proprie imposte tra enti che hanno finalità generali sussidiarie rispetto a quelle dello stato.

No,  perché il requisito fondamentale delle attribuzioni dei fondi del 5 per mille è che abbiano ampie ricadute sociali e che vadano oltre il beneficio dei singoli soggetti. No, perché il senso del 5 per mille non è quello di aggiungere risorse a favore di singole categorie lavorative, creando peraltro un imponente precedente a favore di chi già usufruisce dei fondi previdenziali e di assistenza dello stato. No perché togliere risorse alla cura dei più fragili, alla ricerca e alla tutela del nostro patrimonio culturale e ambientale è un lusso che non ci possiamo permettere. Un piccolo grande esempio ce lo può dare lo sviluppo della ricerca scientifica. In Italia l’80 per cento della ricerca per la cura della sclerosi multipla viene finanziato da Fism, la Fondazione di Aism per la ricerca, che si regge, come quasi tutte le realtà di settore, sui contributi del 5 per mille, in quel patto di fiducia costruttiva che lega cittadini, Terzo settore e progresso sociale. Se l’emendamento venisse approvato, parte delle risorse finirebbe col fluire su altri fini, snaturando di fatto la finalità originaria dell’istituto. La riduzione delle risorse destinate alla ricerca scientifica avrebbe gravi implicazioni per centinaia di migliaia di persone. Le istituzioni devono rafforzare, e non indebolire, il sostegno alla ricerca, alla medicina, alla giustizia sociale.
Paolo Bandiera
Direttore Affari generali e Relazioni istituzionali Aism

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