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Uno studio giapponese offre notizie incoraggianti su scuola e covid

Le lettere del 24 novembre al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - Sci ok, ma con le rotelle.
Giuseppe De Filippi

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Al direttore - Sci ok, ma con le rotelle.
Giuseppe De Filippi

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Al direttore - E’ successo quello che mai avrei pensato sarebbe accaduto: questo governo di matti, che mi sembra che non abbia alcun interesse sulla scuola, mi sta portando a considerare l’Azzolina come una specie di eroina.
 Luca Martelli


 A proposito di scuola. Un gruppo di studiosi ha pubblicato pochi giorni fa un focus sull’International Journal of Infectious Diseases dedicato al tema dei contagi a scuola (“Was school closure effective in mitigating coronavirus disease 2019”) e ha concluso che, almeno in Giappone, “chiudere le scuole non ha influenzato in modo apprezzabile la dinamica di diffusione di Sars-CoV-2”.

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Al direttore - Natale, il ministro Speranza apre: sì a brevi temporali.
Alessio Viola



Al direttore - Leggendo il lungo articolo di Stefano Cingolani sul Foglio di sabato dal titolo “Siamo tutti Alitalia”, mi corre l’obbligo di fare due brevi precisazioni che serviranno anche per spiegare meglio il contesto: Italo è un’azienda privata, che non ha mai ricevuto un euro di sovvenzione pubblica, che ha cambiato il modo di viaggiare degli italiani, riducendo i prezzi e migliorando i servizi e che è diventata un modello da seguire per tutta Europa. Siamo stati, fino allo scoppio della pandemia, un’azienda in grande salute , che è cresciuta in utili e ricavi con ingenti investimenti fatti e previsti per aumentare treni, servizi e località servite, con soddisfazione di tutti i passeggeri. Mi sembra francamente che paragonarla a realtà che per anni hanno macinato perdite e consumato denaro pubblico sia ingeneroso (come anche da lei menzionato l’Unione europea ha stigmatizzato i fondi dati a sostegno di Alitalia). Anche durante la pandemia abbiamo cercato di fare il nostro lavoro, investendo perché viaggiare con noi fosse sicuro, anche se la scelta discriminatoria del governo di limitare il riempimento (solo dell’alta velocità, non degli aerei né del trasporto pubblico locale) al 50 per cento anche nei momenti di minori contagi, unito ai lunghi periodi nei quali siamo stati impossibilitati a operare per le chiusure generalizzate del paese con conseguente crollo della domanda di oltre il 90 per cento, non ci ha certo facilitato. Tutti comportamenti, ribadisco, frutto di disposizioni di legge. La nostra richiesta di aiuto (per tutto il settore trasporti a mercato e non solo per Italo) è quella delle aziende dell’economia reale di tutto il mondo, dei ristoratori, degli albergatori dei baristi, e di tutte quelle aziende, piccole e grandi (ricordiamo i 6 miliardi con garanzia statale concessi alla Fiat a giugno), che giustamente chiedono aiuto per superare una situazione che non dipende assolutamente da loro e che rischia di distruggere il tessuto economico e produttivo del mondo intero. Un esempio per tutti: la Germania sta aiutando le imprese in difficoltà ristorandole con il 75 per cento dei mancati ricavi. Un altro dettaglio che ci sembra necessario chiarire: noi siamo un terzo delle Frecce di Trenitalia, considerando qualsiasi indicatore, e quindi se e quando otterremo qualche aiuto sarà sempre molto meno di quanto giustamente otterranno loro, stante la situazione identica del mercato. Spero che queste poche righe servano per spiegare che l’impresa italiana non è sempre il solito “carrozzone mangiasoldi” e che in questo momento va aiutata e sostenuta. E che se anche la Fieg, nonostante le edicole aperte durante tutto il lockdown, chiede aiuti allo stato, vuol dire che la situazione in tutto il mondo e nel nostro paese è molto grave.
Antonella Zivillica, relazioni esterne Italo


Ricostruzione perfetta. Ma nulla toglie al ragionamento  del nostro Stefano Cingolani: l’impresa italiana va aiutata e va sostenuta, anche con i sussidi, e quando il capo di Confindustria, il presidente Carlo Bonomi, dice che l’Italia non può diventare un nuovo “Sussidistan” forse dovrebbe dare uno sguardo ulteriore al mondo delle imprese italiane per capire che il punto oggi non è chiedersi se lo stato debba intervenire o meno ma è chiedersi come debba farlo e per quanto. In bocca al lupo.


 

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