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lettere rubate

Il divertimento della scrittura, l’odio per la scuola, i libri delle zie. Dialogo con Sciascia

Annalena Benini

C’è del pessimismo, c’è della disperazione, ma c’è l’allegria della scrittura. Sciascia risponde alle domande di Domenico Porzio con semplicità. ecco “Fuoco all’anima, conversazioni con Domenico Porzio”

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Scrivere questo libro ti hai aiutato? È stata una forma di terapia?
Nel momento in cui scrivevo mi pareva di stare meglio.

Leonardo Sciascia, “Fuoco all’anima, conversazioni con Domenico Porzio” (Adelphi)

 
Sciascia e Domenico Porzio stanno facendo una delle loro conversazioni, nell’ultimo periodo della vita e della malattia di Sciascia, e quel giorno era in uscita in libreria Una storia semplice. Porzio chiede a Sciascia come lo ha scritto: “Metà a macchina e metà a mano, malamente e con molti errori; mi hanno aiutato”. E in quanto tempo? “Ci ho lavorato una decina di giorni a Milano, e altrettanto a Palermo”. Ma scrivere, inventare, non è una fatica? “No, io lo trovo un riposo, un piacere, un divertimento. Quale che sia la materia, triste o disperata. Per me scrivere è una cosa allegra”.

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C’è del pessimismo, c’è della disperazione, ma c’è l’allegria della scrittura. Sciascia risponde alle domande di Domenico Porzio con semplicità, gli racconta dell’infanzia in cui odiava la scuola (“ma probabilmente tutti quelli predestinati, o con un certa intelligenza, rifuggono dalla scuola”), ma leggeva tutti i libri che trovava al piano di sotto, a casa di una delle sue tre zie. Una zia sposata, che faceva la maestra. “Digerivo tutto. Bastava avere da leggere, già all’età delle elementari”. E più avanti, alle magistrali, è stato evidente qual era la vocazione di Sciascia. Il professore, Giuseppe Granata, la prima volta che diede un tema in classe si convinse che Sciascia doveva per forza avere copiato, ma non riusciva a trovare da dove. Andò anche dal preside: “Questo figlio d’un cane ha copiato, ma non riesco a capire dove”. Il preside rassicurò il professor Granata dicendogli che Sciascia era bravo in italiano, ma Granata, che aveva solo quattro anni più di Sciascia, non si dava pace, e al tema successivo mise Sciascia a sedere in cattedra, per vedere se copiava. Dopo sono diventati amici e anzi quella storia del copiare Granata la raccontava sempre, divertendosi. 

  
E’ un divertimento anche leggere queste conversazioni, pubblicate da Adelphi, questo “fuoco all’anima”, che secondo la stessa definizione di Sciascia sono i momenti di riposo, di ricreazione, di refrigerio. “Nel senso che poi, passati quei momenti, il lavoro peserà di più, più si sentirà il dolore o la noia, più il caldo”. Il padre di Sciascia non si interessava minimamente alla scuola del figlio, la regola era una sola: se ti bocciano, non ci vai più. E la mamma e le zie erano premurose nell’accudirti? chiede Porzio. “Anche troppo. L’affetto, l’attenzione a volte sono soffocanti. Soffocanti come possono esserlo nelle famiglie meridionali e siciliane”. Si parla di infanzia, di Sicilia, del mare che non esisteva come orizzonte culturale, di fascismo, ma anche di letteratura, lingua, e di sesso nella vita e nella letteratura. “A proposito del livellare, che comprende anche la parità tra uomo e donna, ricordo che hai sostenuto che è un’aspirazione irraggiungibile. La donna, da parte dell’uomo, sarà sempre innalzata o affondata, schiacciata o esaltata. Ma alla pari, mai. ‘Sì. certo, è così’”. 

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