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Lettere rubate

Appunti per una colazione irlandese che mostri cosa c’è (anche) dopo il romanzo

Annalena Benini

Un percorso di maternità, la paranoia cruciale che spiega come le donne governano se stesse e vengono governate: sono gli ingredienti dell'ultimo Irish Book Award

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Morivo dalla voglia di essere considerata figa.
Emilie Pine, “Appunti per me stessa”
(Rizzoli, traduzione di Ada Arduini)


Emilie Pine ha vinto con questo libro l’Irish Book Award, il più importante premio letterario d’Irlanda, e viene voglia di ordinare a colazione quello che prendono loro, le nuove scrittrici irlandesi, che hanno sempre qualcosa di interessante da raccontare, e trovano il modo giusto per farlo. Qualcosa di molto personale, in questo caso: sei confessioni in prima persona, sei storie che riguardano il movimento di una giovane donna nella vita e nei ricordi, nel desiderio di un figlio, nell’alcolismo del padre, nel suo (nostro) stesso sangue e anche nell’effetto che fa sugli uomini, e in un passato che non ti aspetti. Ci avviciniamo al personaggio Emilie, che coincide con la scrittrice e insegnante di drammaturgia Emilie, mentre accudisce il padre a Corfù, in Grecia, e scava nel loro rapporto e nel narcisismo di lui.

 

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Conosciamo il suo doloroso percorso di maternità, a poco a poco entriamo completamente in una vita di cui riconosciamo vittorie e sconfitte, soprattutto riconosciamo il lavorìo interiore che fa la paura. E quella che a un certo punto Emilie Pine chiama “paranoia”, l’elemento cruciale che spiega come le donne vengono governate e come governano se stesse: la sensazione di non essere mai abbastanza, la convinzione che sia meglio tacere e uniformarsi. Ma questo libro è proprio il contrario del silenzio (“forse non sono molto empatica nei confronti del prossimo, ma a essere sincera non lo sono nemmeno con me stessa”) e non è un manuale, non è un diario, non è un memoir, è la vita raccontata per capitoli, cioè per appunti: sull’intemperanza, sul non parlarsi, sugli anni del concepimento, sul sangue, sul passato e su quello che non si era affatto creduto di volere raccontare. Quello che è emerso, prendendo questi appunti per se stessa, che poi è quello che potrebbe succedere a ognuno di noi:  le cose emergono dalla clandestinità emotiva in cui le abbiamo ficcate.

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Avevo bisogno di dirlo a me”, scrive Emilie Pine, e anche se fosse un trucco, è un trucco che funziona: voglio leggere, voglio sapere che cosa ha capito, che cosa le è successo e di che cosa ha ancora, continuamente paura. Voglio sapere come ci si sente con troppi peli addosso a guardare le altre donne liscissime, e voglio saperlo perché quei peli, in qualunque altra forma di paranoia, saranno i miei. “Forse l’aspetto più corrosivo di una vita solitaria non è il tempo trascorso da soli, ma quello trascorso in mezzo agli altri, a sentirsi tagliati fuori”. Gli appunti di Emilie Pine non cercano approvazione, e quindi conquistano.

 

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