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lettere rubate

Vita appassionata di uno psichiatra d’urgenza, che si fa conficcare le unghie nella carne

In L’arte di legare le persone Paolo Milone muove tutta l’umanità e l’intimità di un medico che vive tenendo tra le mani il dolore degli altri

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Cecilia, quando sei arrivata in Pronto Soccorso avevi le cuffie alle orecchie
e ballavi in piedi sull’ambulanza nel silenzio intorno a te:
i militi, per paura, non  hanno spento la tua musica. Ballavi anche sulla barella che ti portava in Reparto 77.
Quando sei entrata - era la prima volta - ti abbiamo chiesto: che musica ascolti?
 Reggae!
E medici e infermieri, nel silenzio, ci siamo messi tutti a ballare.

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Cecilia, quando sei arrivata in Pronto Soccorso avevi le cuffie alle orecchie
e ballavi in piedi sull’ambulanza nel silenzio intorno a te:
i militi, per paura, non  hanno spento la tua musica. Ballavi anche sulla barella che ti portava in Reparto 77.
Quando sei entrata - era la prima volta - ti abbiamo chiesto: che musica ascolti?
 Reggae!
E medici e infermieri, nel silenzio, ci siamo messi tutti a ballare.

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Paolo Milone, “L’arte di legare le persone” (Einaudi, 191 pp.)

 

Ecco la storia umana, di giorno e di notte, della Psichiatria d’urgenza. Un medico ferma i suoi appunti, frammenti di una vita insieme alle persone che cerca di curare e che a loro volta lo curano, perché lo costringono continuamente a cercare di capire. E ad abbracciare, parlare, amare incondizionatamente, contenere fisicamente, prendersi un pugno sul naso, uno sputo in faccia, le unghie nel braccio, tutta la paura di non guarire mai e di non essere più guardati negli occhi. “I matti sono nostri fratelli. La differenza tra noi e loro è un tiro di dadi finito bene”. 

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In questo libro che sembra un diario, con una forma libera e poetica che a volte sembra una preghiera umanissima all’amore verso di sé, a volte il ricordo di una notte passata a impedire a una ragazza di buttarsi dalla finestra, Paolo Milone muove tutta l’umanità e l’intimità di un medico che vive tenendo tra le mani il dolore degli altri, delle ragazze con le lamette nascoste nelle mutande, degli uomini che all’improvviso si lanciano contro il muro con la testa, di Lucrezia che ha una voce dentro che la insulta e la minaccia. “Il fatto è che se torni a casa la voce ti vieterà di prendere le medicine, quindi ora: o ti ricovero, o ti faccio un depot che duri un mese. Questa alternativa non piace né a me, né a te, né alla voce. Ma bisogna decidere adesso”. Bisogna decidere adesso, prendersi addosso questo dolore, ma anche i corpi, le teste, gli sguardi, il sangue, le ciabatte spaiate. Bisogna scegliere, capire in due minuti se un paziente è convincibile o no, e poi offrisi come campo di battaglia. Un medico che irrompe a casa di qualcuno e lo trascina a forza in ospedale. Un medico che parla con le madri piangenti. Con i padri ubriachi. E che impara tutte le bugie. 

 

Che ha il grande privilegio, guadagnato sul campo, di  guardare l’abisso con gli occhi degli altri. Camminare sul precipizio mentre impedisce loro di cadere, e poi anche legarli al letto, se è necessario. Tutte le certezze e le teorie della delicatezza vanno in frantumi, di fronte alla carnalità e alla velocità, alla violenza del dolore nella mente. Di fronte alla voluttà istantanea del suicidio.

 

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“Certi pazienti sono così soli
che, per farsi mettere le mani addosso,
devono spaccare tutto”.

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Lo psichiatra che incontra estranei a una festa, preferisce nascondere il mestiere che fa: “Appena si sa che sei uno psichiatra, esce qualcuno che ti vuole insegnare che cos’è la Psichiatria”. Gli antidepressivi non servono, è meglio curarsi con le erbe o prendersi una vacanza. Dopo questo viaggio dentro il Reparto 77, e dentro la vita di un uomo che ha scelto di farsi carico del disagio di Gina, Emilio, Filippo, Tommaso, Lucia, Piero,  metteremo in discussione le nostre idee sulla libertà davanti all’abisso. 

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“Così sono qui a correre dietro di te, Piero, alle tre di notte nel centro deserto di Genova, col camice che svolazza e gli zoccoli che fanno: clack! clack! Un fantasma. Ma quanto è bella Genova di notte”. 

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