La fisica del soufflé
Cuochi antipatici e tanti sbadigli. Il libro di Pollan era cento volte meglio dell’esotista “Cooked”.
Era meglio il libro. Cento volte meglio. Era meglio “Cotto” di Michel Pollan (uscito da Adelphi assieme a “Il dilemma dell’onnivoro”) della miniserie “Cooked”, quattro puntate su Netflix. Nata peraltro sotto i migliori auspici: Michael Pollan, che figura come sceneggiatore, ha lavorato con il regista e produttore Alex Gibney, lo stesso che aveva diretto “Going Clear: Scientology e la prigione della fede”.
“Esistono altre cose che facciamo sempre meno, rispetto ai nostri antenati, ma non passiamo il tempo a guardare qualcuno che le fa in televisione”, attacca con spirito lo studioso convinto che in materia di alimentazione bisognerebbe lasciar perdere le diete e i supplementi, e prendere come unica guida “quel che la nonna avrebbe mangiato”. Per corollario, l’invito a non considerare il cibo una religione, giacché la nonna per eventuali bisogni spirituali andava a messa.
Siamo solo alla prima sezione del libro, dedicata all’elemento “fuoco”. Le altre sono dedicate all’acqua (quindi agli stufati o “pot au feu”, cibo di tutti i giorni che non trasuda ricchezza come i cosciotti di Enrico VIII), all’aria che trasforma l’impasto di farina e acqua in una pagnotta croccante, e alla terra. Ovvero alla fermentazione che dà origine al formaggio e all’alcool: il “fuoco freddo” che trasforma il latte e il succo d’uva.
Nella mini-serie ogni cosa perde sapore. Resta l’essenziale, ma non il contorno. Vediamo abbastanza porcellini arrosto da far infuriare i vegetariani, manca il parallelo tra il barbecue della domenica e gli antichi sacrifici rituali (dove il fumo andava agli dèi e la ciccia agli umani). Per questo la grigliata rimane roba da maschi, mentre le femmine mettono le birre in frigo e mescolano l’insalata. Nel libro 25 pagine che cercano di penetrare il segreto del soffritto, che in francese ha un nome ancora più delizioso: mirepoix. Nella serie restano la casseruola turchese della mamma, e una piccola storia del cibo lavorato industrialmente.
“Si avvertono le popolazioni aborigene che questo filmato può contenere immagini di persone morte”, dicono i titoli di testa (lo stesso avvertimento che siamo abituati a leggere sui film australiani). Rispettati gli aborigeni, resta il difetto principale. Il libro di Michael Pollan raccontava i retroscena di quel che mettiamo in tavola tutti i giorni: la chimica che fa riuscire la maionese, la birra con la sua schiuma, la fisica che gonfia il soufflé. La serie Netflix, oltre a mostrare cuochi antipatici (anche questi erano meglio sulla carta, potenza della scrittura e dell’ironia), la butta sull’esotismo. All’estrazione casalinga del latte di cocco arriva il primo sbadiglio.