PUBBLICITÁ

la versione di cassese

Fronda sovranista a Berlino

Ragioni e possibili effetti della sentenza del Tribunale costituzionale tedesco sulla Bce

PUBBLICITÁ

La sentenza del 5 maggio scorso del Tribunale costituzionale tedesco ha messo in subbuglio l’Unione europea e gli Stati nazionali, sollevando una serie di problemi che parevano risolti: se il diritto europeo prevalga su quelli nazionali, se la Banca centrale europea sia indipendente, se le corti nazionali possano trasgredire i dettati di quella europea, se e quali siano i confini tra politica monetaria e politica economica. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


La sentenza del 5 maggio scorso del Tribunale costituzionale tedesco ha messo in subbuglio l’Unione europea e gli Stati nazionali, sollevando una serie di problemi che parevano risolti: se il diritto europeo prevalga su quelli nazionali, se la Banca centrale europea sia indipendente, se le corti nazionali possano trasgredire i dettati di quella europea, se e quali siano i confini tra politica monetaria e politica economica. 

PUBBLICITÁ

 

Partiamo dalla vicenda, che muove, nel 2015, da quattro ricorsi presentati direttamente al Tribunale (in Germania, a differenza dall’Italia e dagli Stati Uniti, non è necessario passare attraverso un giudice cosiddetto rimettente per accedere al Tribunale costituzionale). Il 18 luglio 2017 il Tribunale fece un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, che l’11 dicembre 2018 prese la decisione Weiss (C-493/17). La questione ritornò al Tribunale costituzionale tedesco che ha ora preso la discussa decisione.

 

PUBBLICITÁ

Questa decisione riguarda, direttamente o indirettamente, la Banca centrale europea, la Corte europea di giustizia, la Commissione europea, il governo federale tedesco, il Bundestag e la Bundesbank. Raramente una sentenza ha toccato soggetti tanto diversi. Il Tribunale costituzionale tedesco lamenta che la Banca centrale europea non ha spiegato se l’acquisto di obbligazioni statali (“Quantitative easing”; “Public sector purchase programme”) si è limitato alla politica monetaria (che le compete) o è andato oltre, sfociando nella politica economica (che spetta principalmente agli Stati); che la Corte di giustizia europea si è autolimitata e non ha controllato se la Banca centrale abbia debordato; che la Bundesbank non ha controllato a sua volta, facendo parte della Banca centrale. La decisione non chiude definitivamente la vicenda perché dà alla Banca centrale tre mesi per spiegare se le sue decisioni sono limitate alla politica monetaria. In caso contrario, dispone che governo federale e Parlamento tedesco debbano ingiungere alla Bundesbank di non partecipare più al programma della Banca centrale. Questa decisione mette in dubbio l’autonomia delle due banche centrali, la supremazia del diritto europeo e quella della Corte europea, nonché la sopravvivenza del “Pandemic emergency purchase programme” (che non è toccato dalla sentenza, ma contiene elementi contrari ai princìpi in essa stabiliti).

Come è stata accolta questa sentenza?

E’ stata giudicata irritante, brutale, eversiva, arrogante, pedante, una bomba. La Banca centrale ha dichiarato che continuerà come prima. La Corte di giustizia ha dichiarato che il diritto europeo è vincolante per i diritti nazionali, e così pure la sua decisione, l’unica legittima. La Commissione europea ha fatto altrettanto e dichiarato che ha allo studio la possibilità di aprire una procedura di infrazione a carico della Germania. Il presidente del Parlamento europeo ha espresso anch’egli critiche. Il presidente del Bundestag tedesco ha dichiarato che non condivide l’orientamento del Tribunale costituzionale e che bisogna rafforzare l’Unione europea. Il presidente del Bundesgerichtshof, la Cassazione tedesca, ha manifestato e spiegato il suo “orrore” dicendo che la sentenza non è motivata e irritante. Invece, polacchi e ungheresi sono felici. Il primo ministro polacco ha dichiarato che si tratta di “una delle più importanti sentenze nella storia dell’Unione europea” e il viceministro della Giustizia che “ha una grandissima importanza per la disputa sullo Stato di diritto in Polonia” perché “dimostra che il governo ha ragione”. In Ungheria, Orbán ha osservato che “è chiaro che, se la Corte di giustizia europea prende una decisione che confligge con la Costituzione ungherese, la Costituzione ungherese deve prevalere”.

PUBBLICITÁ

PUBBLICITÁ

Non è la prima volta che il Tribunale costituzionale tedesco fa la voce grossa.

PUBBLICITÁ

Infatti. Si potrebbe dire: tanto tuonò che piovve. Tra le sentenze in cui metteva in guardia l’Unione, quella più importante è del 2009, sul Trattato di Lisbona. In quel caso, il guinzaglio tedesco riguardava le clausole passerella, che consentono di decidere all’unanimità di passare alla votazione a maggioranza e di passare dalla procedura legislativa speciale a quella ordinaria.

Perché il guinzaglio tedesco?

Ho adoperato questa espressione nel commento alla sentenza del 2009 (L’Unione europea e il guinzaglio tedesco, in Giornale di diritto amministrativo, 2009, n. 9, p. 1003) per sottolineare che il Tribunale costituzionale tedesco aveva in mente di tenere stabilmente sotto controllo l’Unione, riservandosi un “droit de regard”. Allora, non aveva tirato il guinzaglio. Ora l’ha fatto, e molto bruscamente.

Che cosa può muovere una corte tedesca in una direzione che non è molto diversa da quella di Salvini?

Due sono i motivi che stanno dietro questa sentenza: gli interessi di risparmiatori e intermediari tedeschi e i pregiudizi ideologico-giuridici di una parte della cultura tedesca.

Partiamo dagli interessi economici.

La circostanza che la Banca centrale europea in tre anni abbia acquistato più di 2.000 miliardi di titoli di Stato dei paesi europei ha abbassato i tassi di interesse e questo ha colpito risparmiatori e intermediari, quali banche e assicurazioni. E’ stato calcolato – ha riferito Marco Onado sul Sole 24 Ore del 7 maggio scorso – che in meno di dieci anni più del 40 per cento del sistema tedesco sarà sotto i livelli dei requisiti patrimoniali. Lorenzo Bini Smaghi ha osservato che il ragionamento è sbagliato perché non tiene conto del fatto che, se non ci fosse stato questo acquisto massiccio di titoli la situazione sarebbe stata peggiore (“se la politica monetaria fosse stata meno espansiva, si sarebbero prodotti effetti restrittivi sul reddito e sui prezzi, con ripercussioni potenzialmente peggiori, anche per i risparmiatori”: L. Bini Smaghi. La sentenza della Corte costituzionale tedesca contro la Bce è infondata, in Astrid Rassegna 2020, n. 8, p. 9). C’è una lezione da tirare da questo: i giudici sono costretti a diventare economisti, ma debbono esercitare il proprio giudizio con cautela, in maniera prudente, sentendo tutte le opinioni.

I pregiudizi ideologico-giuridici?

Sono due. Il primo è quello che l’Unione sia una istituzione con compiti tutti delimitati, perché gli Stati sono i “padroni dei trattati”. Ora, è vero che l’art. 5 del Trattato sull’Unione europea dispone che “la delimitazione di competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione”. Ma è vero anche che l’articolo 1 del Trattato prevede una “unione sempre più stretta”; l’articolo 6 prevede che i diritti fondamentali siano sottoposti a princìpi generali tratti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri; l’articolo 48 e altri articoli contengono le già menzionate clausole passerella per il Consiglio europeo; tutte le istituzioni sovranazionali si valgono di “poteri impliciti”. In altre parole, l’Unione non è al guinzaglio degli Stati, è una “machine that runs of itself”, come fu detto nel 1888 per la Costituzione americana. Quindi, non ogni volta che fa un passo avanti l’Unione deve avere una apposita delega da tutti i parlamenti nazionali, perché ci sono clausole dinamiche che consentono di creare competenze da parte dell’Unione, che non è un “Bundesstaat”, ma non è neppure uno “Staatenverbund”. Se gli Stati fossero gli esclusivi padroni dei trattati, allora i rappresentanti dei popoli, nel Parlamento europeo, conterebbero meno dei loro stessi governi, che stipulano i trattati, e dei loro stessi parlamenti, che ratificano i trattati e non vi sarebbe spazio per quell’arricchimento dei princìpi del diritto europeo che proviene dalle tradizioni costituzionali comuni, come prevede il Trattato sull’Unione europea, che apre così una voce dal basso. Insomma, il Tribunale costituzionale tedesco è rimasto prigioniero di un positivismo vecchio stampo, che considera le norme una per una, senza considerare né il costrutto generale dell’Unione, né la circostanza che il diritto non si esaurisce in norme scritte.

Il secondo pregiudizio ideologico-giuridico?

Una teoria sbagliata della democrazia, fondata su una interpretazione errata degli articoli 38.1, 23.1 e 79.3 della Costituzione tedesca. I passaggi di questo ragionamento sono i seguenti. Ogni atto dell’autorità pubblica deve poter trovare fondamento nella volontà popolare (paragrafo 99). Solo il principio di attribuzione conferisce legittimità democratica all’Unione europea (113). Se vengono svolti dall’Unione compiti che non sono conferiti espressamente vi è una diminuzione della democrazia (158). Questo ragionamento presenta molti punti deboli. In quelle che chiamiamo democrazie il popolo approva la designazione di legislatori, non determina la legislazione. Anzi, quasi tutte le costituzioni, comprese quella tedesca e quella italiana, fanno espresso divieto di mandato imperativo. Non c’è quindi un flusso, la trasmissione di una volontà dal popolo allo Stato e poi dallo Stato all’Unione, solo l’approvazione di una designazione di persone. In secondo luogo, anche l’Unione europea è un ordinamento democratico, con due organi rappresentativi (uno diretto, uno indiretto; uno rappresentativo dei popoli, uno dei governi nazionali), un esecutivo e un sistema giudiziario. Se non lo fosse, la Germania sarebbe parte di un ordinamento più ampio, in contrasto con uno dei princìpi del proprio ordine giuridico, quello democratico. In terzo luogo, se c’è un organismo che difende il principio democratico questo è l’Unione europea, come dimostrano i casi ungherese e polacco, perché l’Unione cerca di aumentare il tasso di democraticità dei suoi membri (o degli aspiranti membri, come nel caso della Turchia). Infine, il fatto che il Parlamento europeo sia eletto sulla base di un principio di proporzionalità regressiva (per evitare lo strapotere dei paesi più popolosi) non costituisce una diminuzione del tasso di democraticità, altrimenti dovremmo dire che non è democratico neppure lo Stato tedesco, a causa della clausola di sbarramento. Infine, grazie all’Unione europea, i paesi europei sono più democratici, perché gli Stati sono sottoposti anche a un controllo esterno, indiretto, degli altri popoli europei.

Quali effetti è destinata ad avere questa sentenza?

Corre il rischio di far diventare il dialogo tra le corti una rissa (un esempio opposto è stato quello del caso Taricco tra Corte costituzionale italiana e Corte di giustizia europea). Corre il rischio di rovesciare il rapporto tra diritti nazionali e diritto europeo, dando precedenza o primazia ai primi, con la conseguenza di configurare una Unione ad Arlecchino. Corre il rischio di metter in dubbio il principio che la Corte europea interpreta il diritto europeo, mettendo questo compito nelle mani di tante corti nazionali. Annulla il paradigma “the State as a unit”, perché contrappone il Tribunale costituzionale a governo e Parlamento tedeschi nei rapporti esterni, con l’Unione europea. Viola il diritto europeo, cioè lo stesso diritto che imputa alla Banca centrale europea di aver violato. Senza affermarlo esplicitamente, nega il principio di solidarietà all’interno dell’Unione europea, innescando un meccanismo pericoloso: ad esempio, le asimmetrie prodotte dall’acquisto di titoli di Stato andrebbero considerate insieme con quelle prodotte dall’attenuazione o cancellazione del divieto di aiuti di Stato, largamente favorevoli alla Germania.

Come se ne esce?

Aprire una procedura di infrazione nei confronti della Germania (vi sono precedenti, relativi all’Austria (2003) e all’Italia (2011)). Oppure adempiere (ma in tal caso la Banca centrale europea obbedirebbe al Tribunale tedesco, violando il diritto europeo e la decisione della relativa corte)? Lasciare che la Banca centrale tedesca esca dal programma di sottoscrizioni di titoli di Stato (ma in tal caso l’azione della Banca centrale europea si indebolirebbe e la Banca centrale tedesca finirebbe per tradire una delle missioni principali della Bce). Sono più realistici due esiti. Quello (positivo) di spingere per accrescere il potere fiscale dell’Unione, che si doterebbe di “spending power”, come reazione alle chiusure del Tribunale tedesco. Quello (negativo) di limitare la portata dell’altro programma della Banca centrale europea, il “Pandemic emergency purchase programme”, che non rispetta la percentuale corrispondente alla quota di ciascun paese nel capitale della Banca centrale europea e potrebbe anche permettere l’acquisto di obbligazioni di emittenti con un rating più basso di quello stabilito per il programma di sottoscrizioni sul quale si è pronunciato il Tribunale tedesco. Da questo punto di vista, la scelta di depositare ora questa sentenza, forse imposta dalla scadenza del presidente della Corte, non poteva essere peggiore.

PUBBLICITÁ