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Da dove ricominciare

Unione europea e globalizzazione ci arricchiscono, ma richiedono nuove responsabilità. I doveri dei cittadini e le responsabilità delle amministrazioni. Gli utopisti possono diventare i veri realisti. Parla Sabino Cassese

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Da dove dobbiamo ricominciare? Quali sono gli insegnamenti della crisi? Quali dovrebbero essere le nostre principali preoccupazioni, quando ne usciremo? O è prematuro cominciare a interessarsene?

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Da dove dobbiamo ricominciare? Quali sono gli insegnamenti della crisi? Quali dovrebbero essere le nostre principali preoccupazioni, quando ne usciremo? O è prematuro cominciare a interessarsene?

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Questo è il momento nel quale gli utopisti possono diventare i veri realisti. Un intellettuale oggi dimenticato, ma che ebbe un ruolo importante nella prima metà del secolo scorso, Giuseppe Antonio Borgese (basta che ricordi le molte pagine che gli dedicò Giacomo Debenedetti in quel bellissimo libro che è Il romanzo del Novecento edito da Garzanti nel 1971) scriveva sul Corriere della Sera” del 27 febbraio 1951: “Non puoi essere certo che l’utopia, lasciata cadere, poniamo dagli utopisti, non sia raccolta all’impensata dal fatto che arriva, dal fato che passa”.

 

Ma saremo diversi?

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La tragedia che si sta svolgendo, in ambo le sue parti, le morti da un lato, la società che si ferma dall’altro, ha tacitato le beghe di cortile, riportato in primo piano i problemi veri, ristabilendo gli ordini di grandezza, facendo capire che ideologismi, dichiarazioni, il cicaleccio delle forze politiche, debbono lasciare il posto ad altro, qualcosa di più concreto su cui si fonda, alla fine, una società.

 

Che altro?

I doveri dei cittadini e le responsabilità delle amministrazioni. I primi perché abbiamo per troppo tempo coltivato i diritti, scindendoli dai doveri: se ho diritto alla salute, ho anche il dovere di contribuire – attraverso le imposte – al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Le amministrazioni perché da esse dipende, in ultima istanza, la sopravvivenza della società. E questa le percepisce come un peso, tanto che ora tutti richiedono di farne a meno o con leggi autoapplicative o con organismi straordinari, cioè in ogni caso sfuggendo ai vincoli burocratici.

 

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Ma il futuro va disegnato sulle esperienze del passato, e quella che stiamo vivendo mostra che i pesi reciproci di centro e periferia sono squilibrati.

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Si è abusato dell’autonomia, non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti e in Germania: se il problema è nazionale, la soluzione può essere trovata in sede regionale? Giustamente un acuto osservatore si è chiesto “can the center hold?”. Il “presidenzialismo” regionale – ci dobbiamo chiedere – è stato un bene? Un vero utopista non dovrebbe oggi ripensare alla utilità di formule presidenziali per centro e periferia e architettare formule “parlamentaristiche” più moderne?

 

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Accanto alle preoccupazioni per il futuro delle strutture e procedure amministrative ci sono quelle relative alla finanza.

Che andrebbero affrontate promuovendo l’afflusso del risparmio privato verso l’investimento nei grandi complessi produttivi del paese, come indicato dalla Costituzione, e non dimenticando quanto osservato da Guido Carli: “Il permanere del deb   ito pubblico nei portafogli delle famiglie italiane, per una libera scelta, senza costrizioni, rappresenta la garanzia per la continuazione della democrazia” (Guido Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 387).

 

Questo apre la questione dell’Unione europea, a proposito della quale Marc Lazar ha osservato sul Monde del 25 marzo scorso, “plus l’Italie fait nation, plus elle s’éloigne de l’Union européenne”.

Non dimentichiamo quello che l’Unione ha già fatto. Impegno al “quantitative easing” della Banca centrale europea. Utilizzo della “escape clause” per il vincolo di bilancio. Stanziamento di fondi sul bilancio europeo. Questo non basta, perché non possiamo farcela da soli, per la difficoltà di ricorrere al debito. Ripeto quello che è ormai chiaro: dotare l’Unione di proprie entrate e di propria capacità di spesa non è solo importante per l’effetto redistributivo che questo può avere a beneficio dell’Italia oggi, ma anche per riequilibrare la “zoppia” (come la chiamava Ciampi) del sistema europeo. E questo dovrebbe diventare meno intergovernativo (nei relativi organi si decide all’unanimità) e più comunitario (nei relativi organi si decide a maggioranza), come osserva con tenacia Sergio Fabbrini.

 

Perché tanta importanza data al sistema di votazione?

Perché l’unanimità dà potere di veto, come alla Dieta polacca, come osservò già Rousseau, che notò che il declino della Polonia ne era stato l’effetto.

 

Sono molte le voci che si levano contro Europa e globalizzazione.

Dove troveremmo un mercato così ampio, noi che siamo un paese esportatore? Andremmo tanto facilmente e con basso costo in giro per il mondo? Unione europea e globalizzazione ci arricchiscono, ma ci rendono anche più vulnerabili, e richiedono responsabilità aggiuntive. Romain Lecler, sul Monde del 9 marzo scorso, ha osservato che Wuhan è una “città globale” che somiglia alla Chicago dei anni dello scorso secolo, ha stabilimenti di General Motors, Honda e Renault, ha accolto 4 miliardi di visitatori nell’ultimo anno e che ogni giorni 3.500 passeggeri partono dal suo aeroporto per l’estero, che il turismo con crociere navali coinvolge ormai 10 milioni di persone per anno, che nel mondo vi sono ogni anno 10 mila tra fiere e saloni. Vogliamo rinunciare ai benefici che tutto questo comporta? Se no, non bisogna abbandonare quello che recentemente sul Mulino, n. 5/2019, Raffaella Baritono ha chiamato il “sogno globalista”.

 

Anche l’emergenza dovrebbe trovare un utopista-programmatore.

I militari non fanno tutti i giorni guerre, ma si addestrano ogni giorno, anche in tempo di pace, per non farsi trovare impreparati. Noi abbiamo affrontato l’emergenza impreparati e il diritto dell’emergenza è diventato a sua volta un’emergenza. L’ultimo decreto legge ha smentito le scelte precedenti, quando si era proceduto con decreti del presidente del Consiglio dei ministri, senza fissare termini, dando mano libera a ogni intervento del presidente del Consiglio, non solo in modo illegittimo, ma anche con confusione, non motivata dalla fretta.

 

Continua a nutrire speranze in una rapida ripresa?

“Presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti a esser pericolosi, nel bene e nel male” come osservava Keynes nella “General theory”. Bisogna, quindi, continuare a coltivare idee, come il ciclista deve continuare a pedalare, se non vuole cadere.

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