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Urla e silenzi

Umberto Silva

Una ragazza sulla chaise longue e una lezione sulle elezioni, che sanno di morte e di vita

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Ci sono e ci sono state, Elezioni. Ci sono e ci saranno morti in molte terre. Ci sono urla e silenzi. Lei ha venticinque anni ed entra per la prima volta nel mio studio psicoanalitico. Forse non è la prima volta, forse sono passati quarant’anni, in me, anche in lei. Mi stringe la mano, allontana la sedia e si stende sulla chaise longue. Dopo dieci minuti di silenzio la ragazza, che forse ha cinquant’anni, dice che “la sto immaginando”.

 

Taccio, anzi, come è mio uso, parlo. Il tacere è un parlare, tacendo dico un mare di cose, o meglio: mi dico un mare di cose, meglio ancora: in un mare di cose. La ragazza, che forse addirittura è morta qualche anno fa, o secolo, mi prega di parlarle, sa che sto parlando, sa persino di cosa io stia parlando, sente la mia voce e quel che dice. Una voce strana, la mia, una voce che l’attraversa, dice, e non dice; vorrebbe sentire la mia voce che grida ma anche che tace e lentamente si spegne. Dico una sola parola, o meglio, dico tutto quello che al momento è il caso di dire: il silenzio.

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Che poi la ragazza all’improvviso si alzi e vada alla finestra, spalancandola, è davvero quel che si suole chiamare acting out, ma mai lo chiamerei così, mi suonerebbe un po’ osceno. La ragazza resta a guardare l’albero dalla finestra, forse aspetta un mio intervento. Come già fosse intervenuto, dopo cinque minuti richiude delicatamente la finestra e parla. Dice, o finge di dirmi, che le parole, forse mie, stanno narrando tutta la sua vita, una vita composta di scompostissime storie cui lei vorrebbe dare un tono. Per quindici minuti racconta la sua vita che nel frattempo, sostiene, è diventata anche la mia vita, in un certo senso. Mi chiede di parlarle ma con il dito mi chiede di tacere. Il suo dito è da moltissimo tempo “fermo lì!”.

 

Sorride e mi dice che non era stato quell’uomo a sedurla a sedici anni, o forse quindici, e forse diciassette, o forse un secolo fa, “che tanto è lo stesso”. Di quale uomo costei parli non dice, o forse, tacendo, proprio nel silenzio dice, anche troppo, tanto che dà l’impressione d’essere muta, un mutismo bellico. Attendo. La ragazza parla: “Io sono l’una e l’altra, e tutte le mie parole ascoltano quelle che lei ascolta mentre io in silenzio le dico. Quando parlo è come se tacessi. Il loro parlare silente mi porta lontano e lontano mi porta ancor meglio, non si sa, e meglio ancora si sa ma senza sapere, quello sciocco sapere che disturba tanti destini”. “Quella ragazza sono io! O almeno anch’io!”, mi viene da pensare. Improvvisamente la ragazza dice che mi ha sognato, dice che ha sognato lui e me: “Lo sa che a Ponape, nel sud del Pacifico, l’arte del cunnilingus raggiunge vette artistiche? Gli uomini amano far cibolare un pesce vivo nella vagina della loro amante per aspirarlo poi dolcemente fuori della bocca? Mi porterebbe a Ponape?”, chiedendomi si chiede. “Sa lei che mia madre, la mia cara madre di cui tanto le ho parlato, sta morendo?”. Ama sua madre, dice, ama suo padre, solo perché non ama nessuno, dice. Voltandosi sulla chase longue sospira: “Lo sa che mamma non sta affatto morendo, ma sta benissimo? Lo sa qual è il punto più alto dell’eccitazione sessuale? Provi a chiederselo. Sa che a quindici anni sono stata masturbata da un uomo, che a ben pensarci non era tale? Sa che io fingo di non avere orgasmi quando invece ne ho eccome e lui finge di averli quando invece non ne ha? Sa che questa è la vera legge dell’umanità, l’Elezione? Sento, caro Professore, l’orrore che lei prova nel leggere e nel parlare, sento quanto lei ami il solo silenzio, quello di una ragazza morta, so che lei si sforza di tacere, so anche quello che si costringerà a dirmi alla fine del nostro incontro. A furia di tacere lei è diventato muto, anche a se stesso, io sono qui perché lei è là, dove io sono e non sono e lei dove è e non è noi siamo. Io mi alzerò e lei mi guarderà. Non le darò la mano ma ce la diamo, nel modo più giusto”.

 

Il tempo è passato e dovrei darle, o dirle, un appuntamento, o chiederlo, a lei in quanto me. Chi dei due parlerà dell’altro parlando di se stessi? Entrambi nel silenzio ci diciamo un sì che è l’addio di un no, sapendo di essere un là dove nessuno può tacerlo, dicendolo. La ragazza è sua madre nel momento che esce; dopo di lei, la madre, o l’altra, esco anch’io, Padre di me stesso, e di se stessa. Gianna, l’assistente che che si assiste nell’essere la propria ombra, mi comunica che la ragazza tornerà, quando lei vuole. “Chi lei, chi vuole?”, le chiedo perplesso, Gianna è confusa. Rientrando soddisfatto nel mio studio, con stupore vedo la finestra spalancata! Ci sono, e ci sono state, Elezioni. Ci sono stati e ci saranno morti in molte terre.

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