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Istigazione reporter

Giuseppe Sottile

Lo pseudo giornalista punta solo allo sputtanamento. Ogni mezzo è lecito. Tanto ci sarà sempre un pm o un talk…

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La tentazione sarebbe quella di cominciare con la formuletta delle favole: c’era una volta. Ma non servirebbe a nulla. Perché fino a qualche anno fa la notizia era un bene raro e prezioso che veniva amministrato e mediato dai giornali mentre oggi, tra social e fake news, l’informazione è diventata una galassia ammorbata dai furori, dove una cerchia sempre più ristretta di professionisti, comunque preparati e responsabili, deve fare i conti con una milizia militante che non conosce più né limiti né ostacoli. E’ la milizia dei giornalisti politicamente schierati. I quali, pur di portare a galla lo straccetto di uno scandalo, non esitano a tuffarsi in ogni palude e di scandagliare con ogni mezzo caverne e pozzi neri alla ricerca di un osso da esibire intanto come trofeo e da contrabbandare come massima espressione della libertà di stampa, povera stampa.

 

Possiamo chiamarli giornalisti d’assalto o, con tono vagamente nobiliare, persino giornalisti d’inchiesta. Sono quelli che si piazzano per ore davanti a un citofono e fanno finta di aspettare per ore la testimonianza chiave di un misfatto. Sanno bene che la porta non si aprirà mai, ma a loro basta quel rifiuto per offrire alle telecamere la prova provata che dietro l’ostinato silenzio si nasconde a dir poco un delinquente. E poi ci sono quelli che rincorrono, implacabili e affannati, l’interlocutore che invece non vuole assolutamente parlare. Con la banalissima scusa di porgergli le domande più scottanti, pestano e ripestano nel mortaio l’acqua marcia delle accuse e dei sospetti. L’interlocutore silenzioso ne esce con le ossa rotte, mentre il giornalista si vanta senza pudore di essere andato lì per dargli la possibilità di replicare ma lui, povero reprobo, non ne ha saputo approfittare.

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Poi c’è il reporter, che preferisce farsi chiamare così anche per segnare una distanza con l’indistinta massa dei suoi predecessori. A lui non bastano più le intercettazioni telefoniche che sottobanco gli passa il capitano dei carabinieri incaricato della trascrizione. E non gli basta più nemmeno il frammento di una deposizione clamorosa raccolta dal magistrato amico e soffiata durante un caffè al bar del palazzo di giustizia. Il reporter di ultima generazione cerca carne viva.

 

Vuole essere lui il regista dello sputtanamento; vuole scegliere lui, personalmente lui il potente sul quale scaricare due secchiate di fango o di merda, scegliete voi; vuole scegliere lui il soggetto politico contro il quale scagliare la freccia avvelenata dello scandalo e della vergogna. E pur di raggiungere il suo scopo, lui non bada a spese. Perché ormai lo sanno pure le pietre: se l’obiettivo è lo sputtanamento e non più l’informazione, ogni mezzo è lecito. Anche il più estremo: il reporter si traveste anche da agente provocatore, prende a braccetto un vecchio rudere della mafia o della camorra, si munisce di una valigetta piena di finte mazzette e va all’assalto dell’uomo da impiccare all’albero della gogna.

 

Di fatto va a compiere un reato: istigazione alla corruzione, ma che gli importa? Lo scoop sarà ripreso puntualmente dagli altri giornali. Giudici e magistrati proveranno un senso di colpa per non avere scoperto quello che si poteva scoprire e chiuderanno quasi certamente un occhio. Partiti e talk-show dibatteranno in lungo e in largo se il metodo adottato è stato deontologicamente compatibile con i canoni fissati dall’ordine dei giornalisti ma concluderanno ogni discorso con un vibrato no a ogni censura e a ogni bavaglio. I vecchi del mestiere torceranno il muso, ma tra tanto vecchiume, certamente ci sarà la voce illuminata del santone che, manco a dirlo, riproporrà la frase, trita e ritrita, del bellissimo film con Humphrey Borgart: “E’ la stampa, bellezza!”. Trasformando così un guappo in un eroe. Un eroe del nostro tempo, greve e confuso.

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