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La “sfida verticale” di RaiDue sul Monte Bianco è bella, ma va vietata a gufi e divanisti

Giulia Pompili
I gufi sono quelli che, pure quando una cosa è indiscutibilmente fatta bene, riescono nella faticosa impresa di trovare parole allarmanti e denigratorie per descriverla. Nella grama categoria, i gufi ecologisti sono tra i più agguerriti: forse in virtù della metafora zoologica che li tiene in gabbia, sono più predisposti alla conservazione piuttosto che all’evoluzione. Volano bassi. Prendiamo la Funivia dei ghiacciai, che collega l’Italia alla Francia attraverso il Monte Bianco e che possiamo definire uno dei posti più belli del mondo, senza il rischio di esagerare. I gufi hanno fatto di tutto per scongiurare la buona riuscita della SkyWay MonteBianco, inaugurata a maggio.
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I gufi sono quelli che, pure quando una cosa è indiscutibilmente fatta bene, riescono nella faticosa impresa di trovare parole allarmanti e denigratorie per descriverla. Nella grama categoria, i gufi ecologisti sono tra i più agguerriti: forse in virtù della metafora zoologica che li tiene in gabbia, sono più predisposti alla conservazione piuttosto che all’evoluzione. Volano bassi. Prendiamo la Funivia dei ghiacciai, che collega l’Italia alla Francia attraverso il Monte Bianco e che possiamo definire uno dei posti più belli del mondo, senza il rischio di esagerare. I gufi hanno fatto di tutto per scongiurare la buona riuscita della SkyWay MonteBianco, inaugurata a maggio. Quattro anni di lavori per un’infrastruttura da 105 milioni di euro: soldi ben spesi, considerato che la SkyWay da Courmayeur alla Punta Helbronner è una cosiddetta opera strategica, una vetrina per il patrimonio ingegneristico e naturalistico italiano, finalmente sfruttato (in senso buono, va da sé) a dovere. Lo dimostra l’invidia dei francesi, che ora stanno correndo ai ripari sul loro versante con nuovi progetti, visto che per arrivare dall’Aguille du Midi a Chamonix si sale su una teleferica degli anni Cinquanta. E non è un caso se in questo momento di entusiasmante riscoperta delle nostre risorse (su SkyWay si era fatta già una puntata intera di “X-Factor”) la Rai abbia costruito un programma intorno al Monte Bianco. Il format è inedito, tutto italiano, prodotto da Magnolia sull’onda del successo di “Pechino Express”. Funziona così: sette cordate, composte da concorrenti che hanno poco a che fare con la montagna e dalle rispettive guide, superano alcune prove eliminatorie di trekking e arrampicata su roccia, ghiaccio o neve per conquistare la vetta. C’erano Arisa, Enzo Salvi e il karateka olimpico Stefano Maniscalco che sono stati già eliminati (Salvi con molto onore, Maniscalco a riprova del fatto che la montagna non è per tutti, atleti compresi). In gara ci sono ancora Gianluca Zambrotta (calciatore d’animo nobile, che saprà vincere) e Filippo Facci (che da solo vale l’intero programma, ma questo lo hanno scritto un po’ tutti: per quanto riguarda noi possiamo dire che il tuffo nel crepaccio dell’altra sera ha dato un contributo seduttivo definitivo al giornalista, peraltro fogliante d’antan mica a caso). Comunque, apriti cielo.

Da mesi i gufi reazionari del Club alpino italiano rimproverano alla Rai di spettacolarizzare la montagna dissacrandola, banalizzandola. Certo, “Monte Bianco - Sfida verticale” è un gioco. Chi lo segue, sempre che non si sia fatto troppi genepì, non crede di vedere “Sentieri d’Italia” – il programma di Michele Dalla Palma su MarcoPolo (Sky), guida indiscutibile per l’alpinismo italiano. Aldo Grasso sul Corriere ha scritto che il punto forte del programma Rai, piuttosto, è quello di non avere “tempi morti, riesce con il montaggio a costruire una narrazione più che accettabile”. Ecco, forse vale al pena aggiungere qualche consiglio per chi dal divano di casa vorrebbe passare all’azione: 1) la montagna è i tempi morti. Silenzi e fatica, e interminabili ore di movimenti sempre uguali. Nella vita vera, quelli non si tagliano in fase di montaggio. 2) Se sei a metà di una salita e ti vengono i crampi, nessuno ti viene a prendere. Devi trovare la forza per scendere. 3) Non esistono guide che ti trascinano in vetta (tranne, forse, gli sherpa in Nepal). 4) Lo zaino pesa. 5) Il principio di precauzione applicato all’alpinismo ha fatto molti danni (ci sono guide che ormai ti portano in cordata anche al bagno del rifugio) ma ha anche evitato che degli sconsiderati salissero sulla Marmolada con le Superga. 6) La responsabilità delle decisioni è tua, per questo ti fanno pagare un elicottero se parti dal rifugio troppo tardi e non fai in tempo a tornare. “Il rischio è uno degli aspetti dell’alpinismo più difficili da spiegare a chi non lo pratichi. Perché mettere a repentaglio la propria vita, semplicemente per raggiungere il culmine di un ammasso di rocce e di neve?”, scrive Franco Brevini in “Alfabeto Verticale” (uscito per il Mulino da poco, è una perfetta introduzione alla montagna). Nella domanda di Brevini si cela la sfida dell’alpinismo stesso. Quella “verticale” e in massima sicurezza di RaiDue è solo un bel gioco. Chi non coglie l’altra sfida, quella vera, è meglio che resti sul divano, a lamentarsi.
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