PUBBLICITÁ

La demoralizzazione della civiltà occidentale

Mattia Ferraresi

La storica Gertrude Himmelfarb, scomparsa di recente, ha affisso l'interpretazione del presente a una sola idea: l'oblio delle virtù borghesi

PUBBLICITÁ

Gertrude Himmelfarb, la storica americana morta a 97 anni il 30 dicembre scorso, era quello che il filosofo Isaiah Berlin definiva un riccio: un tipo di intellettuale che, pur occupandosi di diversi aspetti della realtà, riporta ogni osservazione a un solo nucleo originario, una singola idea fondativa, un centro di gravità stabile attorno al quale tutto il resto ruota. Il pensiero dominante di Himmelfarb era la moralità. Lungo la linea che separa il bene e il male, il criterio di distinzione tra virtù e vizio, andava ricercato il carattere fondamentale che determinava le vite degli individui e il loro concorrere a formare società più o meno eque, prospere, fiorenti. Per lei la storia era un morality play, secondo l’espressione popolarizzata dai critici, una dialettica fra concezioni del bene: questa era la radice del dipanarsi dei rapporti fra le persone, fra i popoli e le nazioni. In ragione di questa visione ha criticato con uguale ferocia intellettuale la storiografia marxista, quella analitica, quella sociale, quella quantitativa e quella post strutturalista: queste correnti fra loro molto diverse erano unite nel comune progetto di “demoralizzazione” della storia.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Gertrude Himmelfarb, la storica americana morta a 97 anni il 30 dicembre scorso, era quello che il filosofo Isaiah Berlin definiva un riccio: un tipo di intellettuale che, pur occupandosi di diversi aspetti della realtà, riporta ogni osservazione a un solo nucleo originario, una singola idea fondativa, un centro di gravità stabile attorno al quale tutto il resto ruota. Il pensiero dominante di Himmelfarb era la moralità. Lungo la linea che separa il bene e il male, il criterio di distinzione tra virtù e vizio, andava ricercato il carattere fondamentale che determinava le vite degli individui e il loro concorrere a formare società più o meno eque, prospere, fiorenti. Per lei la storia era un morality play, secondo l’espressione popolarizzata dai critici, una dialettica fra concezioni del bene: questa era la radice del dipanarsi dei rapporti fra le persone, fra i popoli e le nazioni. In ragione di questa visione ha criticato con uguale ferocia intellettuale la storiografia marxista, quella analitica, quella sociale, quella quantitativa e quella post strutturalista: queste correnti fra loro molto diverse erano unite nel comune progetto di “demoralizzazione” della storia.

PUBBLICITÁ

 

Himmelfrab ha scritto di Lord Acton e della traiettoria “ebraica” di George Eliot, ha affrontato criticamente la concezione della libertà di John Stuart Mill, ha studiato l’idea della povertà e il filosemitismo in Inghilterra, ha commentato Adam Smith e Edmund Burke, ha contribuito, in quanto moglie di Irving Kristol – gli amici la chiamavano Bea Kristol – a tratteggiare i caratteri cangianti del neoconservatorismo, la “persuasione” che per un tratto di storia ha informato anche la linea politica della Casa Bianca, ma al centro della sua riflessione c’è sempre stata la moralità dell’età vittoriana, sottoposta a processo sommario e frettolosamente condannata da rivoluzionari che ne detestavano la convenzionalità e ne denunciavano le ipocrisie. 

 

PUBBLICITÁ

Ha criticato la storiografia marxista, analitica e sociale, accomunate dal superamento della dimensione morale


 

La storica delle idee si è esercitata per tutta la vita in un’opera di recupero, conservazione e ri-trasmissione delle virtù borghesi che costituivano il fondamento di quell’epopea anglosassone sacrificata sull’altare della rivoluzione dagli accademici che contavano: etica del lavoro, moderazione, temperanza, ordine, senso del sacrificio, abnegazione, amore per la famiglia, rispetto delle regole, delle gerarchie sociali, dell’autorità e della tradizione. Come ha osservato David Brooks, editorialista del New York Times che è stato un discepolo della casata intellettuale Kristol-Himmelfarb, “non sono virtù artistocratiche, come onore, genio ed eroismo, ma virtù di buonsenso alla portata di tutti”. Ciò quadrava alla perfezione con la biografia di Himmelfrab, figlia di immigrati ebrei di origine russa cresciuta in un quartiere popolare di Brooklyn, dove il padre lavorava il vetro e vendeva utensili per la cucina, ed era andato in bancarotta almeno un paio di volte durante la Grande depressione. Era uscito dalle crisi perseverando nell’esercizio delle virtù borghesi, non denunciandone il carattere oppressivo. Muovendosi in quello stesso solco, Himmelfarb si è iscritta al Brooklyn college, dove ha ottenuto una tripla laurea in storia, economia e filosofia, mentre nel non si sa quale tempo libero si dedicava al conseguimento di un quarto titolo, in studi biblici, al Jewish Thological Seminary di Manhattan. Quando si è iscritta alla University of Chicago per la specializzazione è stata presto informata che non avrebbe mai avuto una carriera accademica: era donna, ebrea e newyorchese, non un trittico ideale per eccellere nel settore nell’America del dopoguerra. Lei, che pure avrebbe avuto varie ragioni per gridare alla discriminazione, non ha fatto della propria identità un vessillo vittimista, e si è prodigata per eccellere nel suo campo di ricerca. In fondo, la storia del neoconservatorismo è tutta qui: si trattava di un gruppo di intellettuali trotzkisti – lei e Irving Kristol si sono conosciuti a un raduno di questi gruppi – che ha abbandonato la sinistra quando questa ha ripudiato gli ideali della borghesia per abbracciare la controcultura.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

L’ethos vittoriano era stato archiviato già all’inizio del ventesimo secolo come espressione convenzionale di un moralismo sterile, peraltro ampiamente tradito dai suoi stessi interpreti, un’età segnata dall’obbedienza a una tradizione che andava rigettata senza appello e seppellita, in nome della signoria dell’individuo e della sua illimitata capacità di autodeterminarsi. John Maynard Keynes aveva fissato i paletti della rivoluzione: “Rifiutiamo totalmente la morale corrente, la saggezza delle convenzioni e della tradizione. Non riconosciamo nessun obbligo morale né alcuna sanzione interiore a conformarci e obbedire. Davanti al cielo pretendiamo di essere i nostri stessi giudici”. Himmelfarb si è opposta allo Zeitgeist a partire dal suo Victorian Minds, pubblicato nel 1968, anno fatale. Scriveva che l’età vittoriana “ha mostrato, non nella sua periferia ma al suo centro, tutta la diversità e molto della perversione di cui la mente umana è capace. Se è stata un’età di miscredenza, è stata anche un’età di fede, e non soltanto perché c’erano credenti e non credenti, ma perché fede e miscredenza erano intimamente e ingegnosamente legate fra loro. E’ stata un’età di rigidità morale e di considerevole ampiezza in termini di comportamento. Qualche storico l’ha definita un’era di contrappesi, altri di riforme e altri ancora un’eta di rivoluzione. Io credo che sia espressa al suo meglio nella formula ‘rivoluzione conservatrice’”. 

 

PUBBLICITÁ

Difendendo l’età vittoriana dai luoghi comuni degli storici ha spiegato il presente e prefigurato il futuro, Trump compreso


 

La rivoluzione conservatrice è stata l’idea attorno cui Himmelfarb si è affannata, con modi gentili, affabili e vittorianamente cordiali, per tutta la vita, senza stancarsi di ricordare che i rivolgimenti antropologici hanno sempre un’origine morale. Nel saggio From Clapham to Bloomsbury: A Genealogy of Morals ha disegnato la parabola che ha portato l’Inghilterra dalla setta anglicana di Clapham, che alla fine del XVIII secolo lottava per l’abolizione della schiavitù, la riforma del sistema penale e la dignità delle classi disagiate, al gruppo di Bloomsbury, gli scrittori ribelli dell’inizio del XX secolo che si opponevano a tutti i valori che i devoti di Clapham incarnavano. Il loro scopo era smantellare la società bigotta e ingessata che soffocava la creatività individuale, ma che – ricordava Himmelfarb – era anche la società che aveva prodotto la Salvation Army e le associazioni per contrastare la povertà. Era un contesto segnato da forme di coesione sociale, dal senso che ogni individuo fosse legato agli altri in un ordito di relazioni sociali tentuo insieme dal senso comune e da un apparato di tradizioni non necessariamente malvagie e ottuse. L’etica di Clapham ha alimentato le virtù borghesi, quella di Bloombsury ha messo le basi per la rivoluzione degli anni Sessanta. La storica americana non aveva dubbi su quale parte abbracciare in questa disputa che riguardava niente meno che il destino della civiltà occidentale. Nel suo fondamentale saggio The De-Moralization of Society: From Victorian Virtues to Modern Values ha smontato con una meticolosa ricognizione fattuale i luoghi comuni sull’età vittoriana oppressiva e con altrettanta dovizia ha messo in discussione i pregiudizi positivi vigenti sulla post modernità, epoca segnata non dal perseguimento dell’immorale ma dell’amorale, amputazione sistematica di ogni sporgenza che potesse rimandare a una concezione del bene.

 

E’ stata un campione del conservatorismo secondo la definizione sintetica che ne aveva dato Daniel Patrick Moynihan: “La verità centrale del conservatorismo è che è la cultura, non la politica, a determinare il successo di una società. La verità centrale del liberalismo è che la politica può cambiare una cultura e salvarla da se stessa”. La cultura, come esito di una concezione morale, era ciò che più stava a cuore alla storica della “rivoluzione conservatrice”, assai disincantata circa le capacità dei progetti politici di raddrizzare il legno storto dell’umanità e impegnata assieme al marito a brindare con soli due cheers, invece dei canonici tre, al capitalismo. Il sociologo Robert Nisbet ha scritto: “Senza dubbio Dio avrebbe potuto creare un migliore interprete dell’Inghilterra del XIX secolo, me senza dubbio Dio non lo ha fatto”. Ma in quanto interprete della dimensione morale o “medico dell’anima nazionale”, come l’ha definita Brooks, Himmelfarb non si è limitata a illuminare un periodo storico. Nel tentativo di afferrare il passato ha raccontato il presente e prefigurato il futuro: la demoralizzazione della storia è la dinamica fondamentale che ha segnato il passaggio dall’età vittoriana al radicalismo, e dal radicalismo alla becera controrivoluzione di Donald Trump, il demoralizzatore in chief. Il libro One Nation, Two Cultures, pubblicato nel 1999, conteneva già la mappatura di un paese che si era spaccato lungo una linea di demarcazione culturale, non semplicemente politica, racconto del presente illuminato dalle lezioni morali del passato e profezia di ciò che sarebbe venuto poi.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ