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un foglio internazionale

Il momento Macbeth di Israele

I timori del grande scrittore Howard Jacobson sul futuro dello stato ebraico 

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"Quindi siamo arrivati al capolinea?”, si domanda lo scrittore inglese Howard Jacobson su Unherd. “Gli ultimi fallimenti ed errori di calcolo – l’assalto all’ospedale di al Shifa, il fatale attacco aereo contro gli operatori umanitari, la presa di mira di un generale iraniano a Damasco, mentre gli ostaggi di Hamas languono Dio sa dove – segnano un punto di svolta nelle relazioni di Israele con il mondo? E’ questa l’ora in cui i suoi alleati più comprensivi chiamano fine all’omicidio e anche un fervente sostenitore della causa di Israele, come me, comincia a vacillare? Cosa stiamo vedendo?”. 

Jacobson ha vinto il Man Booker Prize nel 2010, il secondo nella storia a ottenerlo con un romanzo umoristico, “L’enigma di Finkler” (in Italia tradotto dalla Nave di Teseo). Ed è percepito come un uomo di sinistra più che di destra. Jacobson ha raccontato che suo suocero, un uomo di sinistra, che aveva combattuto contro Franco e i fascisti in Spagna, quando Israele vinse la Guerra dei sei giorni, gli disse: “Non saremo mai perdonati per questo. La sinistra odia il vincitore”.

Nel suo saggio su Unherd, Jacobson esprime tutto il suo sconforto per il futuro dello stato ebraico. “E’ difficile in questo momento, se sei un ebreo che ha sempre creduto che la fondazione di Israele fosse stata necessaria e per molti versi miracolosa, mantenere i nervi saldi. Gli ebrei sono un popolo contraddittorio, sicuro di sé e allo stesso tempo debole di cuore. ‘La capacità ebraica di interiorizzare qualsiasi osservazione critica e di condanna e di castigare sé stessi’, ha affermato il romanziere israeliano Aharon Appelfeld in un’intervista a Philip Roth, ‘è una delle meraviglie della natura umana’. Possiamo affrontare così tante critiche e poi niente di più. La tempesta di rabbia che si sta accumulando sarà troppo per noi questa volta? Oppure ci sentiremo obbligati a continuare a salvare la verità dal rumore e dalla cacofonia della guerra?
 

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Gli “analfabeti letterati”

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Alcune verità non sono difficili da salvare dalla nebbia morale che è caduta sul sud di Israele sei mesi fa, sei mesi che sono stati come nessun altro. Si diceva che i cavalli di re Duncan si mangiassero a vicenda la notte in cui Macbeth uccise il loro padrone. Era il modo in cui la natura ci diceva che era successo qualcosa di insondabilmente orribile. Le grida di ‘Uccidere gli ebrei!’ che si udirono in tutto il mondo all’indomani dell’assassinio di oltre 1.000 ebrei il 7 ottobre superarono in un orrore insondabile il cannibalismo dei cavalli di Duncan. Sapevamo che gli esseri umani potevano rallegrarsi apertamente dello stupro e dell’omicidio di persone che non conoscevano? Danzare nel sangue degli altri non è di per sé una specie di cannibalismo? Per prendere ancora una volta un prestito da ‘Macbeth’, le lacrime avevano lo scopo di soffocare il vento. Ma tutto quello che abbiamo sentito è stato il tifo. Il massacro di Hamas ha invertito le norme della pietà. Ed ecco un’altra delle verità che salviamo da quell’evento terribile. Niente di ciò che il sionismo aveva fatto o avrebbe mai potuto fare avrebbe giustificato questo gloriarsi della tortura di singoli israeliani. Il fatto che così tanti di coloro che si glorificavano fossero, a prima vista, altamente istruiti ha messo fine alla nostra fiducia sentimentale nell’istruzione come nostro ultimo e più affidabile baluardo contro l’isteria dell’odio razziale. Gli istruiti superavano gli ignoranti nel bigottismo e nella sete di sangue. Così come hanno fatto gli alti principi, quelli più ideologicamente accomodanti quando si trattava di cause come l’inviolabilità del corpo di una donna. L’insegnamento dell’ultimo mezzo secolo non aveva forse messo in guardia contro anche la timida intrusione nello spazio femminile? Eppure qui, di fronte all’intrusione più grossolana di tutte, lo stupro – lo stupro brutale – gli stessi predicatori contro la più piccola delle microaggressioni si sono rifiutati di esprimere anche la più lieve disapprovazione. 

“Contestualizzare” il 7 ottobre

Alcuni, nelle alte sfere delle più grandi università del mondo, volevano ‘contestualizzare’ ciò che era accaduto. Altri, timorosi di cadere in tale assurdità, hanno chiesto ulteriori prove, anche se una donna diversa da un’ebrea israeliana avesse anche solo gridato allo scandalo, sarebbe stata creduta perché l’ideologia prevalente sostiene che dubitare di uno stupro significa violare una donna una seconda volta. Non perdiamoci in giri di parole: l’odio verso gli ebrei israeliani ha avuto la meglio su tutte le altre considerazioni accademiche.
Quelli che immaginavamo sarebbero stati i nostri alleati – gli informati, i progressisti, i liberali – non erano progressisti quando si trattava di noi. Ironicamente, è stato Israele – il nostro rifugio, il paese che ci ha dato la stabilità unita all’autostima, la nostra vecchia casa onnicomprensiva – che ora sembrava insicuro. Con straordinaria preveggenza, Hamas capì che far sentire gli ebrei insicuri in Israele significava indebolirli ai propri occhi e a quelli degli altri. Oggi più che mai, mi sembrava, era imperativo riaffermare la necessità fondatrice del sionismo. 

Niente pace fin dall’inizio

Quanto più gli analfabeti letterati si sentivano autorizzati a distruggere il sionismo, tanto più importante era strappare loro la storia. Per troppo tempo si è permesso che una grande menzogna prevalesse. La menzogna secondo cui Israele non aveva diritti o legami legittimi con la Terra Santa. La menzogna secondo cui i sionisti l’avevano rubata ai palestinesi indifesi. La menzogna secondo cui i sionisti si erano presentati non come rifugiati dai pogrom dell’Europa orientale, ma come coloni determinati a far uscire ogni palestinese. Non voglio essere sentimentale nei confronti di Israele, ma non ha goduto di pace fin dall’inizio. E’ un paese che vive sotto le armi da prima della sua dichiarazione di indipendenza. E proprio il giorno in cui venne concessa l’indipendenza venne nuovamente attaccato. No, no e ancora no. No agli ebrei. Non qui. Mai. No, no, no. E’ straordinario che Israele abbia prosperato nonostante un’ostilità senza fine. Ma non si può negare che i combattimenti, la coscrizione di quasi tutti i suoi cittadini, il dover convivere fianco a fianco con un popolo che non può e non vuole accettare la sua presenza ovunque ‘tra il fiume e il mare’ sia stato un inasprimento, per non dire una desensibilizzazione. L’attacco di Hamas, insistono i suoi apologeti, è figlio dell’occupazione israeliana. Mi sono sempre opposto alla parola ‘occupazione’ perché suggerisce una politica pre-pianificata, piuttosto che – per come la vedo io – la conseguenza di tutte le guerre tra i due popoli, la maggior parte delle quali istigate dai palestinesi, dopo le quali Israele si è ritrovato con il territorio che doveva smilitarizzare per la propria sicurezza. Ma va bene, è diventata un’occupazione. Dopodiché, cosa avrebbero dovuto fare i palestinesi? 
L’inafferrabile soluzione dei due stati è stata loro presentata più volte. Non abbastanza equa, hanno detto, anche quando erano state le Nazioni Unite a fare la spartizione. E così si è creata una sanguinosa impasse: una tragedia, come la vedeva Amos Oz, di due diritti. Più tardi, la tragedia di due torti. Per averla definita una tragedia, gli ex sostenitori palestinesi di Amos Oz lo hanno abbandonato. La tragedia significava che non c’era nessun cattivo. E i palestinesi avevano bisogno di un cattivo. 

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La pazienza dell’occidente

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Gli abitanti di Gaza – educati nei loro libri di scuola a detestare gli ebrei – hanno ballato per le strade il 7 ottobre? Qualunque sia la verità, possano gli israeliani non ballare mai la danza del sangue. Il cuore si spezza, vedendo la distruzione di Gaza. Ma vedere la distruzione di Tel Aviv non farà meno male. Lo temo? Sì. Sento un cambiamento di umore. Il canto costante per le strade di Londra e altrove ha, in una certa misura, contribuito a questo cambiamento. Una bugia, raccontata all’infinito, alla fine può indebolire la causa della verità. Ma, da solo, Netanyahu è sufficiente per mettere alla prova la pazienza dell’occidente, i cui leader hanno poca voglia di attenersi a una missione. C’è un difetto nella nostra natura che ci porta ad annoiarci anche delle cause più nobili, per non parlare di quelle che diventano stantie nel loro stesso compiacimento. Oh, che diavolo. Basta con loro. Quindi quelle sono svastiche. E allora? 
E’ solo una questione di contesto. Temo che loro – giornali, commentatori e politici – stiano perdendo interesse e simpatia allo stesso ritmo. Hanno già sentito tutto. 
Noi ebrei dobbiamo trovare altri modi per rendere avvincente la nostra storia straziante. Abbiamo provato a perdere. Abbiamo provato a vincere. Non sono sicuro di cosa sia rimasto”.

(Traduzione di Giulio Meotti)

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