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“In Russia le crisi di regime sono state sempre provocate da fallimenti militari”

Il ritiro delle truppe da Kherson è un’ammissione di fallimento tattico da parte del Cremlino. L’analisi del geografo Michel Foucher, scrive il Figaro (11/11)

Le Figaro – Il ritiro delle truppe da Kherson è un’ammissione di fallimento da parte della Russia? 

Michel Foucher – E’ certamente un fallimento tattico che va ad aggiungersi alle sconfitte sul fronte terrestre di Donetsk. Kherson era l’unica capitale regionale conquistata dal marzo 2022. Lo scenario di occupazione da parte delle forze russe ricorda più quello dell’annessione della Crimea nel 2014 che quello della distruzione sistematica di Mariupol. E’ probabile che alcune complicità interne alla città abbiano favorito la conquista. Il Cremlino punta probabilmente a rendere la bassa valle del Dnepr la nuova frontiera della Russia. E’ uno degli obiettivi di questo ritiro. Ma nulla indica che dopo la riconquista di Kherson le forze ucraine non tentino di sfruttare il loro vantaggio attraversando il fiume per assicurarsi il controllo definitivo del litorale del mar Nero. In realtà le forze russe sono demoralizzate in questi territori occupati. Cos’hanno da difendere? Niente. Quali sono le loro forze morali? Non ne hanno. 

Quali sono le conseguenze per il seguito del conflitto dopo il ritiro delle truppe russe? 

Dopo aver riconquistato Kherson, le forze ucraine cercheranno di sfruttare il loro vantaggio. Si dirigeranno verso la zona meridionale al fine di controllare il litorale del mar Nero e di garantire definitivamente la sicurezza della grande città portuale di Odessa. Ma ipotizzo che i dirigenti ucraini notificheranno ai loro alleati occidentali che il tempo della negoziazione non è ancora arrivato. Non si fidano, a ragione, dell’offerta di “negoziazione” evocata dal Cremlino e dei suoi echi nei nostri paesi democratici tentati dalla stanchezza. Mi fa pensare alla politica di appeasement delle élite britanniche tra il 1933 e il 1939 dinanzi a Hitler, con il risultato che conosciamo tutti. La storia della Russia dalla metà del Diciannovesimo secolo in poi ricorda che le crisi di regime sono sempre state provocate da dei fallimenti militari. L’abolizione della schiavitù nel 1861 è stata una delle conseguenze della sconfitta russa nella guerra di Crimea nel 1856. La prima rivoluzione russa del 1905 segue la sconfitta navale subita nello stretto di Tsushima contro la flotta giapponese. Quella del 1917 è stata accelerata dalla sconfitta dell’esercito russo sul fronte tedesco. E il fallimento politico e militare in Afghanistan ha condotto Mikhail Gorbaciov a ritirare l’Armata rossa. L’unico contro-esempio è il rafforzamento del potere di Stalin dopo la vittoria del 1945.

 

E’ molto probabile che le élite russe, che devono molto all’attuale titolare del Cremlino, comincino a interrogarsi sul miglior modo di proteggere i loro interessi, che sono considerevoli e più colpiti dalle sanzioni e dal costo della guerra di quanto si dica. I nomi di alcuni potenziali successori iniziano a circolare: Dmitry Patrushev, ministro e soprattutto figlio del segretario del Consiglio di sicurezza; Sergey Kirienko, vice capo di gabinetto dell’amministrazione presidenziale; Sergey Sobyanin, sindaco di Mosca, che non risparmia le sue critiche tanto sulla gestione della pandemia quanto sulla coscrizione; infine Mikhail Mishustin, primo ministro della Federazione russa. Ci ricordiamo che Washington aveva puntato su Boris Eltsin contro Mikhail Gorbaciov e facilitato il fallimento di quest’ultimo. I canali americani di contatto con Mosca non sono spezzati e dei margini di manovra esistono al fine di spingere un nuovo governo russo a cessare la guerra in cambio di una prospettiva di negoziazioni diplomatiche – tra Kyiv e Mosca – ed eventualmente strategiche – tra Washington e Mosca – con l’obiettivo di ottenere una riduzione dell’arsenale russo.

Una rimozione parziale delle sanzioni farebbe riflettere il nuovo governo russo. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha già espresso la sua apertura a delle discussioni con un altro titolare del Cremlino che non sia quello attuale. In questo contesto politico instabile, una partecipazione di Vladimir Putin al G20 in Indonesia è stata giudicata inopportuna. E anche in questo caso, in riferimento ai precedenti della storia russa, l’ingresso in tempi turbolenti non è un’ipotesi da escludere, tempi che opporrebbero le fazioni al potere, quelle civili, già citate, e quelle militari, trascinate da Evgeni Prigozhin (il finanziatore del gruppo Wagner  formato da combattenti mercenari, ndr) e Ramzan Kadyrov (il leader ceceno, ndr), due attori della scena politica violenta in Russia.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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