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Un Foglio internazionale

 Putin sta seguendo i passi (sbagliati) di Napoleone Bonaparte

L’imperatore commise uno dei più grandi errori della sua carriera in Spagna, preferendo la repressione alla politica. Il nuovo zar ha fatto lo stesso errore con l’Ucraina

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"Vladimir Putin confonde lo spettacolo della guerra con la guerra”, scrive Arthur Chevallier. “Seduto su delle poltrone a forma di pasticcini viennesi, con il volto ricolmo di odio e gli occhi bucati dall’hybris, questo grande gatto vestito in giacca e cravatta minaccia l’umanità miagolando ritornelli militari. L’aspetto più spaventoso non è la sua malvagità, ma il suo fallimento. La mediocrità è la forma più pericolosa dell’impotenza. Dopo venti giorni di offensiva, il suo esercito, il secondo al mondo, è contenuto da colui che considerava come un buffone. L’Ucraina presto o tardi cadrà, distrutta, incenerita, polverizzata. La sua popolazione, per essere controllata, dovrà essere sottomessa; della sua industria non resterà nulla; e nemmeno della sua arte di vivere resterà qualcosa; del suo territorio rimarrà qualcosa in più. Magro guadagno. Nel vocabolario di Putin è una vittoria; in materia militare, la guerra ha una funzione primaria: ottenere una pace favorevole. Ma la guerriglia è esattamente il contrario di una campagna portata avanti con intelligenza. Cosa farà Putin di un terrapieno deserto, ostile e devastato? Dopo essere stato un nazionalista coerente, Putin è ormai considerato come un imperialista inquietante. Sui palcoscenici televisivi, la sua invasione viene talvolta paragonata a quella di Napoleone all’inizio del Diciannovesimo secolo. Questo paragone permette di mostrare che i conquistatori non sono uguali, che fare la guerra non determina né la qualità, né la giustizia, e neppure l’umanità di un regime. Alla fine del 1807, Napoleone, d’accordo con il suo alleato in Spagna, manda il generale Junot a occupare il Portogallo. La decisione non è imperialista ma strategica: i porti lusitani accolgono navi, armi, soldati e cannoni dall’Inghilterra, in guerra contro la Francia. Allo stesso tempo, delle truppe si dispiegano in Spagna. In risposta, la popolazione reagisce e attacca i reggimenti francesi. Nel 1808, l’imperatore sostituisce i Borboni al potere, discendenti diretti del nipote di Luigi XIV, con Giuseppe, suo fratello maggiore. Nella biografia magistrale e appassionante che Thierry Lentz gli consacra, l’autore ricorda che Giuseppe era intelligente, umano, di buona volontà, cosciente delle difficoltà che avrebbe avuto a far aderire gli spagnoli a una nuova monarchia straniera. Napoleone preferì inviare sempre più reggimenti, rimuovere suo fratello a favore del maresciallo Soult, talvolta esageratamente repressivo. La Grande Armée era invischiata in ciò che oggi viene chiamata guerriglia, ossia una popolazione con le armi determinata a lottare contro un esercito regolare. I soldati francesi, i migliori del mondo, che avevano umiliato le monarchie d’Europa in occasione di battaglie trionfali, erano sopraffatti, travolti e soprattutto sprovvisti di metodo per un conflitto di quel tipo. La brutalità, le repressioni e le esecuzioni sommarie divennero la soluzione a tutto, ossia a nulla. La guerra di Spagna mobiliterà quasi 200 mila uomini fino alla fine del 1809. Obbligherà Napoleone, fino alla prima abdicazione, a lasciare fino a 350 mila soldati d’occupazione. Insomma, quell’errore si è trasformato in una catastrofe finanziaria, militare e strategica. Napoleone ha trascurato l’indifferenza di una Spagna arcaica, cattolica e tradizionale per una Francia di cui non aveva capito né la Rivoluzione né il nuovo messianismo, quello dei diritti umani. Quanto alla ribellione, si spiega con una regola eterna: il rifiuto dell’occupante. Detto in altri termini, una nazione costituita come lo era la Spagna non permise a una potenza straniera di accaparrarsi la sua sovranità. Napoleone commise un errore evidente: preferire la repressione alla politica, i suoi eserciti a suo fratello. La storia dimostra che si sbagliò, in Francia come altrove. La sfida lanciata da un popolo di contadini alla Francia, ossia a lui, ha provocato una rabbia che ha dato origine a metodi disumani impiegati per ristabilire un ordine impossibile da restaurare. Ciò non toglie nulla al talento, al genio e all’importanza di Napoleone. Si può essere allo stesso tempo il brillante riformatore di un paese, il vincitore di guerre giuste perché inevitabili e un adolescente capriccioso e omicida. Vladimir Putin ha salvato la Russia dalla decadenza in cui il crollo dell’Urss l’aveva fatta precipitare. Il suo senso della provocazione, la sua passione per la menzogna, il suo essere privo di empatia hanno forzato l’occidente a cedere ai suoi capricci, ad accettare le sue regole del gioco, a considerare i suoi lamenti delle rivendicazioni giuste. E se Putin finisse la sua carriera come l’aveva iniziata, ossia come un agente fallito del Kgb, un piccolo essere pieno di orgoglio e rancore, senza un minimo di nobiltà, di eleganza e di onore? In ‘Tecnica del colpo di stato’, Malaparte ricordava che il punto comune tra i dirigenti autoritari dell’inizio del Ventesimo secolo era la gelosia; una gelosia isterica, incontrollabile, all’origine di una passione omicida.

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