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Un Foglio internazionale

La Sorbona apre il suo tempio alla resistenza contro la cancel culture

redazione

Quando i militanti fanno vietare Sylviane Agacinsky, filosofa considerata reazionaria, e “Le supplici” di Eschilo, considerata razzista

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"Convegno della vergogna”, convegno “fascista” e “pseudo-scientifico”, “reazionario” e di “estrema destra”… Le forze vive dell’ultrasinistra razzialista e decoloniale hanno sparato a zero contro il convegno organizzato alla Sorbona dal Collège de philosophie, dal Comité Laïcité République e dall’Observatoire du décolonialisme il 7 e l’8 gennaio, racconta Valérie Toranian, direttrice della Revue des Deux Mondes.

  


Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti

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Intitolato “Après la déconstruction: reconstruire les sciences et la culture”, aveva come obiettivo quello di contrastare lo sviluppo nel campo dell’istruzione del pensiero decoloniale, che tenta di imporsi come “un dogma morale contro lo spirito critico”. Fuori la scienza e il razionalismo, qualsiasi sapere è ormai l’espressione di un rapporto dominante/dominato la cui matrice è l’oppressione coloniale. Con “la tentazione della cancellazione, ossia di una tabula rasa del passato, della storia, dell’arte, della letteratura e di tutto il patrimonio civile occidentale, ormai condannato al rogo”, allertano gli organizzatori Emmanuelle Hénin, professoressa alla Sorbona, Pierre-Henri Tavoillot, presidente del Collège de philosophie, e Xavier-Laurent Salvador, cofondatore dell’Observatoire du décolonialisme.

  

Abbastanza da far urlare i militanti decoloniali, ben rappresentanti nei sindacati studenteschi e degli insegnanti, che si indignano per il fatto che qualcuno osi rispondere alla loro offensiva ideologica nelle università. E’ da molto tempo, in effetti, che i convegni sul “razzismo sistemico di stato”, i seminari sulla transfobia, i gender studies intersezionali e le “riunioni non-miste” vengono organizzati senza che nessuno abbia da ridere. Di più, quando questi militanti chiedono di vietare una conferenza di Sylviane Agacinsky, filosofa considerata reazionaria, e di una pièce teatrale (“Le supplici” di Eschilo), considerata razzista, vincono la causa. L’università, dagli anni Cinquanta, ha sempre seguito a ruota la doxa dominante del momento. Marxista prima, poi maoista, e oggi decoloniale. All’epoca, qualsiasi tentativo di opposizione alla doxa intellettuale dominante era percepita come una collusione con il capitalismo, l’imperialismo americano, il fascismo. Oggi, gli organizzatori e i relatori del convegno sono accusati di essere razzisti, identitari, suprematisti, fascisti… Petizione degli insegnanti decoloniali sul Monde, lettera aperta sotto forma di accusa su Libération e Mediapart, condanna e appello al boicottaggio di questo “convegno della vergogna” da parte dei sindacati Sud, Cgt, Unef e Nouveau parti anticapitaliste… La Cgt ha invitato la Sorbona a “segnalare al ministero dell’Interno” i relatori che tenevano discorsi giudicati calunniosi.

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Nonostante questi tentativi di intimidazione, il convegno si è svolto. Due giornate, milleduecento iscritti, settanta relatori per delineare il quadro dell’influenza decoloniale e riflettere sulle piste per intervenire. Un vero successo che deve molto alla qualità dei relatori: il filosofo Pierre Manent, i sociologi Nathalie Heinich, Dominique Schnapper e Tarik Yildiz, i politologi Pascal Perrineau e Bernard Rougier, lo storico delle idee Pierre-André Taguieff, gli antropologhi Florence Bergeaud-Blackler e Philippe d’Iribarne, lo specialista di letteratura Claude Habib e la filosofa Catherine Kintzler, i giuristi Anne-Marie Le Pourhiet e Rémi Pellet, gli storici Pierre Vermeren e Christophe de Voogd, gli scrittori Pierre Jourde e Pascal Bruckner, il saggista Mathieu Bock-Côté.

  

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La molteplicità dei campi affrontati ha permesso di prendere coscienza della diffusione del pensiero decoloniale, che non si accontenta più di contaminare le scienze umane, bensì si attacca anche alla musica, alla matematica e alla fisica. Dopo tutto, perché il discorso di Newton, simbolo della scienza bianca-occidentale-centrica, dovrebbe avere più peso della tradizione sciamanica sulla spiegazione del fenomeno della luce? Tutto si equivale! Il convegno enumera le perle della cultura woke. La presunta metafora diventa scienza: un sonetto di Ronsard viene interpretato come espressione della cultura dello stupro, alcuni arazzi di Villa Medici a Roma sono denunciati come simboli della schiavitù, le prime note dell’Allegro con brio della Quinta sinfonia di Beethoven (il celebre “pom pom pom pom”) sono considerate come una metafora dello stupro.

Jean-Michel Blanquer ha voluto pronunciare il discorso di inaugurazione del convegno. Ci saremmo aspettati piuttosto Frédérique Vidal, ministra dell’Università. Ma il ministro dell’Istruzione “fa il lavoro che Frédérique Vidal non fa”, ha constatato Xavier-Laurent Salvador. “Blanquer caratterizza il problema, dice le cose come stanno. Osserva che il wokismo sta penetrando nelle strutture della società e che bisogna contrastarlo”. “Dobbiamo decostruire la decostruzione”, ha riassunto il ministro dell’Istruzione. Non si tratta né di sopravvalutare questo movimento di decostruzione né di sottovalutarne le conseguenze. (Traduzione di Mauro Zanon)

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