Il figlio

L'eterno presente del nostro passato nel memoir di Ginevra Bompiani

Francesca Pellas

Forse per fare di una vita una vita piena è necessario averne vissute molte. Bompiani si racconta e scopre i suoi tanti percorsi scrivendo le sue memorie 

Forse per fare di una vita una vita piena è necessario averne vissute molte. Non importa se tutte felici, quel che conta è che ci siano state: aver percorso una strada e con lei le tante possibili, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, ma sempre incontrando noi stessi, come dice Joyce nell’Ulisse. A tenerle unite nella nostra cartografia interiore è una linea retta: quella dell’illusione che ogni volta ci ha guidati e convinti a gettarci nell’avventura, simili a bambini affascinati dal mistero. E infatti “Tutto quello che comincia ha in sé un po’ d’infanzia”, scrive Ginevra Bompiani in La penultima illusione, appena uscito per Feltrinelli.

Un libro di memorie in cui la narrazione procede su due piani che sono il passato e il presente o, per dirla insieme a lei, “l’eterno presente del nostro passato e il remoto passato del nostro presente”. La spinta a raccontare è giunta quando Ginevra Bompiani, poco prima di compiere ottant’anni (“Non si parla più di una persona senza dire quanti anni ha, come se fosse una caratteristica e non un incidente di percorso!”) ha accolto in casa N., una ragazza somala arrivata in Italia da profuga. Da qui è nato il desiderio di osservare questa maternità venuta non dalla pancia ma dalla testa (che poi è il luogo dove custodiamo i sentimenti), di scriverne, e allo stesso tempo di tirare le fila delle vite attraversate fino a quel momento, partendo da quella ampia e avventurosa avuta da figlia.

Così conosciamo Ginevra bambina, leggiamo del suo legame col padre, la madre, la tata Selle, andiamo in collegio a subire angherie prima e a farle poi. Assistiamo a una caduta giovanile nella depressione e seguiamo la salvezza trovata a Parigi in un letto pieno di pulci, ospite dell’amica Fleur Jaeggy (quando avevano un po’ di soldi mangiavano fuori, altrimenti cenavano con piselli in scatola e succo d’uva). Ci sono lo studio, la politica, la vita mondana e dell’intelletto, spesso intrecciate. C’è l’amore con Giorgio Agamben, che nasce all’improvviso e prende subito spazio. C’è la carriera accademica: il biennio a Napoli, i lunghi anni a Siena. E naturalmente, sempre, c’è la casa editrice con cui Ginevra Bompiani condivide il cognome e in cui comincia a lavorare, per poi scappare, per poi tornare. Un amore, quello per i libri, grande come quello per Agamben o anche di più, perché la storia con Giorgio a un certo punto finisce (o meglio: si trasforma), mentre quella con i libri mai. Si arriva perciò alla nascita di nottetempo, fondata nel 2002 insieme a Roberta Einaudi, e qui prendono corpo alcune tra le pagine più belle del libro, ricche di aneddoti e piene degli incontri con le persone che andranno a comporla (c’è un ritratto bellissimo di Chiara Valerio), di pensieri su come va fatta l’editoria e su come, facendo bene l’editoria, si può fare politica.

Si ride e si pensa. Che bello vivere, a saperlo fare. Che bello amare. In questo rincorrersi di esistenze che si ascoltano e si cedono il passo l’una con l’altra, emergono però tre costanti: oltre ai libri, senz’altro l’amicizia, intesa come valore a cui essere devoti e per cui vale la pena avere una casa più grande. E poi l’andare a vedere coi propri occhi, il voler fare qualcosa di concreto per l’altro e per gli altri; ecco quindi la collaborazione con le ong, l’ex Jugoslavia, le biblioteche nel deserto, le notti trascorse a dormire all’aperto in Africa riparati solo da un manto buio puntellato di stelle, e infine N. Questa ragazza che potrebbe essere la sua ultima sfida, o forse no, perché l’ultima è sempre la prossima. E se mai ci si dovesse chiedere come si fa, a capire dove andare quando bisogna scegliere, questa è la risposta: “Ciascuno di noi è almeno due persone, una delle quali rovina la vita all’altra. Se però non si tratta di ‘persone’ ma di ‘cammini’, allora è solo questione di cercare quello che porta più lontano”.

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