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il figlio

Il castigo del tempo

Lisa Ginzburg

Quanto è difficile tradurre il mondo. L’esclusione e l’attrazione delle parole

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Una donna si trasferisce a vivere in un piccolo paese della Spagna contadina. Di mestiere traduce, e come può succedere a chi lavori con la lingua, con le parole e la loro esattezza, il suo rapporto con la realtà (anche quella del nuovo, piccolo e non facile mondo che la circonda) è un continuo decriptare. Nat, questo il nome della donna protagonista di Un amore di Sara Mesa (La Nuova Frontiera, traduzione di Elisa Tramontin, pp. 143) vive il proprio ambientamento osservando e, secondo il ragionare logico cui usa attenersi per professione, sforzandosi di continuo di ricondurre la realtà al linguaggio, e viceversa. Smarrita, anche sconcertata di fronte a un microcosmo che le appare endogamico, duro, autoriferito e perciò escludente, costruisce una strategia difensiva tutta basata sull’interpretazione. Ragiona, decifra, interpreta; quasi fosse un’antropologa, scruta e studia i suoi vicini, tanto tesa a decodificarne i codici di condotta da non accorgersi di quanto sia lei a venire scrutata e studiata. E’ solitaria e molto intelligente, Nat, due caratteristiche che basterebbero da sole a emarginarla; e tuttavia il suo amore per le parole (“vuote, mute, senza forma, finché non cominciano a prendere senso, tutti i sensi possibili”) è forte, così forte da ripararla dietro uno scudo tutto mentale e che finisce col farle prendere in faccia la realtà, la più cruda e mortificante. 

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Una donna si trasferisce a vivere in un piccolo paese della Spagna contadina. Di mestiere traduce, e come può succedere a chi lavori con la lingua, con le parole e la loro esattezza, il suo rapporto con la realtà (anche quella del nuovo, piccolo e non facile mondo che la circonda) è un continuo decriptare. Nat, questo il nome della donna protagonista di Un amore di Sara Mesa (La Nuova Frontiera, traduzione di Elisa Tramontin, pp. 143) vive il proprio ambientamento osservando e, secondo il ragionare logico cui usa attenersi per professione, sforzandosi di continuo di ricondurre la realtà al linguaggio, e viceversa. Smarrita, anche sconcertata di fronte a un microcosmo che le appare endogamico, duro, autoriferito e perciò escludente, costruisce una strategia difensiva tutta basata sull’interpretazione. Ragiona, decifra, interpreta; quasi fosse un’antropologa, scruta e studia i suoi vicini, tanto tesa a decodificarne i codici di condotta da non accorgersi di quanto sia lei a venire scrutata e studiata. E’ solitaria e molto intelligente, Nat, due caratteristiche che basterebbero da sole a emarginarla; e tuttavia il suo amore per le parole (“vuote, mute, senza forma, finché non cominciano a prendere senso, tutti i sensi possibili”) è forte, così forte da ripararla dietro uno scudo tutto mentale e che finisce col farle prendere in faccia la realtà, la più cruda e mortificante. 

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Quello intorno a Nat è un ambiente umano che mai le offre il ristoro dell’accettazione – nessuna quiete, nulla di accogliente, costruttivo, duraturo. Secondo una progressione di fatti sottile, crudele, lei che avrebbe dovuto installarsi viene emarginata, additata – lei con una sua invisibile lettera scarlatta cucita addosso. Prima ancora, è stata la stessa Nat ad autoescludersi da quella comunità che la respinge, a volere schermarsi da occhi che la guardavano ostili, curiosissimi e diffidenti. Linguaggi indecifrabili, gesti e retro-pensieri senza versioni possibili nel suo universo mentale, morale, sentimentale. Nat procede senza capire, e per questo tutto converge a punirla.


Un amore è bestseller acclamato e pluripremiato in Spagna perché Sara Mesa è eccezionalmente brava nello scolpire questo polittico sulla violenza della discriminazione. C’è la sua scrittura affilata, scabra ed essenziale come il mondo rurale che descrive e come la storia dura che racconta; più ancora, il modo in cui, dentro una cornice di spietatezza del cuore, riesce invece a incastonare e raccontare un amore. L’uomo che Nat incontra è straniero, qualcuno sul baratro dell’afasia, che “cerca le parole adeguate, ma se ci impiega molto non sembra essere per disagio, bensì piuttosto per un’indecisione riguardante l’uso del linguaggio stesso”. Un amore che è pura intesa e attrazione erotica, e subito prima (e subito dopo) incontro/scontro di esistenze diverse e non conciliabili. Nella danza del desiderio, nelle ambivalenze di una passione che cresce suo malgrado e gonfia le vele dell’intesa, lì anche, tutto è questione di linguaggio, sua eventuale traducibilità, sua effettiva comprensione. 


E’ così erotico parlare due lingue diverse e nell’amore, all’unisono, invece una sola. Un’alchimia semantica, prima che sessuale. Inter-comprensione da cui scaturisce libidine altrettanto che distruzione, supremo piacere però accompagnato da avvisaglie di rovina. Nat deve impararlo sulla propria pelle, e noi con lei. I suoi palpiti d’amore sono sussulti, travolgenti, segreti, grida mormorate tra le maglie invisibili della tela dell’esclusione. 

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Il tempo è castigo, sembra dirci Sara Mesa: il suo scorrere, la discrasia delle sue fratture, sabotano ogni tentativo di capire, tradurre: amare. Se l’intellettuale Nat arriva a comprendere i codici di un alfabeto sociale che le sfuggiva, ormai è tardi, la sua esclusione si è compiuta. Leggere Un amore è immergersi in una storia aspra, tagliente, da cui si riaffiora nutriti e turbati nell’intimo, come solo accade quando nei romanzi vibra e risuona per davvero la vita. 
 

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