Chema Photo

Il Figlio

"Mamma, cosa abbiamo noi donne?"

Gaia Manzini

Il bellissimo punto di partenza dell'essere femmine. Non solo sopravvissute

Una notte di quindici anni fa chiacchieravo con un amico sul divano di casa mia. Una serata come tante, un bicchiere di vino, discorsi ondivaghi sul lavoro, sulla vita, sulle vacanze. Per strada - una piccola via a senso unico - ogni tanto passava una macchina, un motorino, il ticchettio delle ruote di una bicicletta. Fin quando non abbiamo sentito l’urlo, o meglio le urla. Prima un grido forte e lontano, poi una serie di urla continue che si facevano più vicine. Ci siamo affacciati allarmati. Per strada c’era solo questa ragazza orientale che correva in mezzo alla carreggiata e gridava e piangeva; sembrava scappare da un pericolo. Siamo scesi subito, ma lei era già scomparsa, aveva lasciato sull’asfalto una scarpa. Una scarpa bianca con un tacco molto alto e mezzo rotto. L’abbiamo cercata per il quartiere, abbiamo avvisato la polizia, ma poi non abbiamo più saputo nulla. Una donna spaventata nella notte.

 

Mia figlia mi guarda, sta mangiando la pastasciutta. Dal niente ci chiede: “Mamma, cosa abbiamo noi donne?”. Intende dire perché facciamo più fatica, perché abbiamo meno possibilità, ecc. E’ una domanda che rimugina da un po’; nessuno ha mai parlato esplicitamente di discriminazione, ma è evidente che, se lo chiede, ha già subìto una qualche forma di pregiudizio. Non so come risponderle.

 

Una ragazza spaventata nella notte. Karolina Ramqvist, scrittrice svedese, ha scritto un libro bellissimo che s’intitola La donna orso (Mondadori). Ha raccontato della sua fascinazione per la storia straordinaria di una nobile francese - Marguerite de la Rocque - che nel 1542 salpa insieme al suo tutore per una delle prime spedizioni coloniali nel Nuovo Mondo. Era giovane, Marguerite, aveva ereditato terre e ricchezze: ma non c’era nessuno a proteggerla. Un tempo, ogni donna era in balìa del volere di qualcun altro. Nessuna poteva decidere per sé. La spedizione capeggiata dal tutore trovò il modo di sbarazzarsi di lei; le motivazioni si appellavano alla morale, ma probabilmente nascondevano un interesse economico. La abbandonarono su un’isola deserta in mezzo all’Atlantico, insieme all’uomo di cui si era invaghita sulla nave. La punirono, la condannarono - di fatto - a morte. L’uomo morì e così loro figlio. Lei invece sopravvisse, nonostante gli stenti, nonostante la gravidanza che portò a termine da sola. Non sopravvive invece Mem, nella Terza vita di Grange Copeland (SUR) di Alice Walker, la stessa autrice del Colore viola. Mem che perdonava tutto al marito: le botte, le umiliazioni, l’odio che le riversava addosso per sfogare la sua frustrazione. Lui le rimproverava di essere istruita, di non parlare come una donna di colore. La fece rinunciare a ogni piccola cosa che avesse ottenuto nella vita; spese pure gli ultimi risparmi che lei aveva messo da parte. Lui voleva cancellare quella faccia che sembrava giudicarlo. Lo fece usando un fucile.

 

Vorrei rispondere a mia figlia che le donne sono delle superstiti, ma forse è una visione parziale della verità; ingiusta rispetto a molti passi avanti che sono stati fatti.

 

L’altra sera ho visto il bel documentario che Silvia Cossu ha scritto su Tina Lagostena Bassi. Femminista e avvocata (così voleva essere chiamata), Lagostena Bassi ha difeso i diritti delle donne, assistendo – tra le altre - anche Donatella Colasanti contro Angelo Izzo nel processo sul massacro del Circeo. Grazie a lei abbiamo la legge n. 66 e grazie a quella legge da venticinque anni lo stupro non è più un reato contro la morale pubblica, ma un crimine contro la persona. La lotta di Lagostena Bassi è stata anche contro il linguaggio e dunque la prospettiva da cui si guardava alle donne durante i processi di stupro: mai vittime, ma sempre corresponsabili, portatrici di colpa.

 

“Mamma, cosa abbiamo noi donne?” Alla fine, non rispondo. Non voglio influenzarla, voglio che cresca coltivando i suoi sogni, senza sentirsi debole in partenza. Quello che conta sono le motivazioni, le capacità, aggiungo, parlandole di Chimamanda Ngozi Adichie. Quello che conta è continuare a raccontarci. Essere donne è bellissimo: crescere con questa convinzione mi sembra un ottimo punto di partenza.

 

Di più su questi argomenti: