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Le vecchie paure e quelle nuovissime, e le solite testate al muro

Annalena Benini

La Fomo è scomparsa, per ora, ma ecco arrivare la Fogo. Care dolci fresche sindromi

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Ci sono giorni che funzionano più o meno così: sveglia, testata al muro, molto caffè, testata al muro, piatti della sera prima, testata al muro, in un ritmo che può crescere o decrescere a seconda delle buone notizie o dei disastri in arrivo. In una giornata di isolamento come si deve, di quelle in cui ad esempio la lavastoviglie perde acqua da sotto, il wifi salta, il frigo è pieno di avanzi inservibili e misteriosi, quella cosa di cui tutti abbiamo detto: non la finisco oggi perché la mangio domani, e poi il giovedì ha superato il mercoledì e anche il martedì e il lunedì, e quella cosa, di solito con verdura, è rimasta lì, dentro un piatto, e quando qualcuno apre il frigo anche quella cosa distoglie lo sguardo, imbarazzata, e adesso però quella cosa ha preso un’altra forma, un altro colore, e si è completamente mimetizzata, fa parte del paesaggio frigoriferico, ha una sua nuova identità, e nel buttarla nella spazzatura io sento, giuro che le sento, gli addii e i pianti del salame, del pecorino, della Coca Cola, che si erano affezionati a quella cosa, e in fondo mi ero affezionata anch’io, nonostante non riesca in nessun modo a ricordare che cosa fosse, all’inizio, quella prima sera in cui ho deciso di lasciarne un po' per il giorno dopo: in una giornata così, insomma si potrebbero contare decine di testate al muro. Ma anche la giornata più muro, che di solito si piazza a metà settimana, direi il giovedì, ha i suoi insegnamenti, le sue scoperte.

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Ci sono giorni che funzionano più o meno così: sveglia, testata al muro, molto caffè, testata al muro, piatti della sera prima, testata al muro, in un ritmo che può crescere o decrescere a seconda delle buone notizie o dei disastri in arrivo. In una giornata di isolamento come si deve, di quelle in cui ad esempio la lavastoviglie perde acqua da sotto, il wifi salta, il frigo è pieno di avanzi inservibili e misteriosi, quella cosa di cui tutti abbiamo detto: non la finisco oggi perché la mangio domani, e poi il giovedì ha superato il mercoledì e anche il martedì e il lunedì, e quella cosa, di solito con verdura, è rimasta lì, dentro un piatto, e quando qualcuno apre il frigo anche quella cosa distoglie lo sguardo, imbarazzata, e adesso però quella cosa ha preso un’altra forma, un altro colore, e si è completamente mimetizzata, fa parte del paesaggio frigoriferico, ha una sua nuova identità, e nel buttarla nella spazzatura io sento, giuro che le sento, gli addii e i pianti del salame, del pecorino, della Coca Cola, che si erano affezionati a quella cosa, e in fondo mi ero affezionata anch’io, nonostante non riesca in nessun modo a ricordare che cosa fosse, all’inizio, quella prima sera in cui ho deciso di lasciarne un po' per il giorno dopo: in una giornata così, insomma si potrebbero contare decine di testate al muro. Ma anche la giornata più muro, che di solito si piazza a metà settimana, direi il giovedì, ha i suoi insegnamenti, le sue scoperte.

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Ieri, durante una breve pausa tra una testata e l’altra, ho scoperto che esiste una sindrome che è stata quasi del tutto sconfitta dalla pandemia. Una sindrome che io purtroppo non avevo, e mi è dispiaciuto perché avrei voluto conteggiare la sua sparizione nei lati positivi dell’isolamento. Avrei voluto dire, almeno: ehi, comunque io non ho più la Fomo. La Fomo è fear of missing out, cioè la paura di perdersi qualcosa, di essere esclusi da qualcosa, è una forma di ansia sociale. Cosa staranno facendo adesso gli altri senza di me? Saranno a una festa? Non sono stata invitata? Che cosa mi sto perdendo? E se l’altra festa fosse più bella? E si passa il tempo a controllare su Facebook e Instagram le prove che gli altri si divertono di più, e che noi siamo esclusi. Si passa il tempo a cercare di scoprire quali splendidi pomeriggi o serate ci siamo persi. Io sto semplificando troppo, ma è una sofferenza vera. Ora, la buonissima notizia è che questa Fomo è stata temporaneamente debellata: nessuno si diverte, nessuno fa niente, nessuno non vi ha invitati a una festa, perché le feste sono state abolite, nessuno sta vivendo un momento elettrizzante da cui vi hanno escluso, e siamo tutti più o meno nelle nostre case a dare testate ai muri. E’ perfino rassicurante guardare le strade buie, i ristoranti chiusi, e sapere che là dentro non sta succedendo niente. Non ci stiamo perdendo niente: stiamo tutti più o meno cercando di aggiustare la lavastoviglie senza chiamare l’idraulico.

 

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Che sollievo, che serenità! Nessuno si sta dando alla pazza gioia alle nostre spalle. Ma poiché, a poco a poco, anche questo tempo sospeso finirà, la Fomo potrebbe ripresentarsi, e soprattutto potrebbe tornare accompagnata dalla nuovissima paura scatenata dalla pandemia, che è la Fogo, fear of going out. La paura di uscire anche quando si potrà uscire, che poi è tutto quello che invochiamo durante le testate. La paura delle persone, del contatto, la paura del mondo e del futuro. Se smetto per un attimo con le testate, io quella paura riesco a sentirla. Paura di avventurarmi in una foresta ostile, piena di mascherine e di sguardi sospettosi. Paura di un mondo che non conosco più. Quindi ho la Fogo?, mi chiedo mentre esco per buttare la spazzatura (con quella cosa dentro) e cerco di non incrociare lo sguardo dei poliziotti sulla volante. Era meglio avere la Fomo, allora! Ma, dopo due minuti che sono fuori, con l’aria sulla faccia, il tramonto davanti a casa, la stazione dei treni là dietro, penso che non ho nessuna Fogo, sono già guarita, e allora è stata una giornata davvero ottima.

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