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Quel che non sai di me

Michele Neri

La lacerante vicinanza tra una madre immigrata e un figlio che deve dirle la verità, per essere libero

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Little Dog è arrivato negli Stati Uniti a due anni insieme alla madre Rose, fuggendo da Saigon. Il padre non c’è, il passato è buio e senza una luce indietro per generazioni: violenza, sradicamento, abbandoni, prostituzione nei bordelli dei marines. Little Dog cresce nel Connecticut con la madre che gli ripete di non attirare l’attenzione su di sé, perché è già vietnamita. Vive nel nail salon in cui lei lavora, svegliandosi nell’odore nauseabondo dell’acetone usato per togliere lo smalto il giorno prima. Odia le mani orrende, piagate dal lavoro della madre. Detesta i centri estetici dove “i sogni diventano la consapevolezza calcificata di cosa significhi svegliarsi con ossa americane, ossa indolenzite, tossiche, sottopagate”. A 14 anni inizia a lavorare nei campi di tabacco e impara a sopravvivere e a non fidarsi, se non di un ragazzo più grande, di cui s’innamora. Con lui conosce la droga, tutte le droghe, la sottomissione fino all’annientamento perché è l’unico potere cui può accedere: il tutto all’oscuro di quella madre che non sa leggere, perché, gli ha rivelato, leggere è un privilegio che lui ha ottenuto grazie a ciò che invece lei ha perso. Quando, poco più che ventenne, non ce la fa più a essere un fantasma a due facce e a tacere, scrive alla madre una brutale e livida confessione che lei non potrà capire; ma vuole essere ascoltato, nascondersi non è più un’opzione. Questo sfogo senza tregua o zone protette è il tema dell’autobiografico Brevemente risplendiamo sulla terra (La nave di Teseo), primo romanzo del giovane poeta Ocean Vuong.

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Little Dog è arrivato negli Stati Uniti a due anni insieme alla madre Rose, fuggendo da Saigon. Il padre non c’è, il passato è buio e senza una luce indietro per generazioni: violenza, sradicamento, abbandoni, prostituzione nei bordelli dei marines. Little Dog cresce nel Connecticut con la madre che gli ripete di non attirare l’attenzione su di sé, perché è già vietnamita. Vive nel nail salon in cui lei lavora, svegliandosi nell’odore nauseabondo dell’acetone usato per togliere lo smalto il giorno prima. Odia le mani orrende, piagate dal lavoro della madre. Detesta i centri estetici dove “i sogni diventano la consapevolezza calcificata di cosa significhi svegliarsi con ossa americane, ossa indolenzite, tossiche, sottopagate”. A 14 anni inizia a lavorare nei campi di tabacco e impara a sopravvivere e a non fidarsi, se non di un ragazzo più grande, di cui s’innamora. Con lui conosce la droga, tutte le droghe, la sottomissione fino all’annientamento perché è l’unico potere cui può accedere: il tutto all’oscuro di quella madre che non sa leggere, perché, gli ha rivelato, leggere è un privilegio che lui ha ottenuto grazie a ciò che invece lei ha perso. Quando, poco più che ventenne, non ce la fa più a essere un fantasma a due facce e a tacere, scrive alla madre una brutale e livida confessione che lei non potrà capire; ma vuole essere ascoltato, nascondersi non è più un’opzione. Questo sfogo senza tregua o zone protette è il tema dell’autobiografico Brevemente risplendiamo sulla terra (La nave di Teseo), primo romanzo del giovane poeta Ocean Vuong.

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L’onestà di Little Dog è assoluta e dimostra a quale livello di crudezza si possa arrivare pur di tendere un ponte tra le generazioni, perché non si ripetano uguali. Le scrive per avvicinarsi a lei, anche se sa che ogni parola allontanerà ancora di più. E’ una lettera scritta dentro un corpo che un tempo era stato della madre e che perciò non può permettersi di rimuovere nulla, nemmeno l’orrore che prova per come lei è diventata: un mostro, proprio per quella sottomissione che invece a lui ha concesso, nell’amore, il primo controllo sulla propria vita. Ed è la lettera di chi, sentendosi colpevole per nascita, aspetto, orientamento sessuale, origine, colore della pelle, si percepisce anch’esso come un mostro. “Sei una madre, Ma’. Sei anche un mostro. Ma lo sono anche io, ed il motivo per cui non posso allontanarmi da te”.

 

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Se esiste una trascrizione fedele dell’assoluta e lacerante vicinanza tra madre e figlio è in queste pagine, nella violenza di un amore senza altri testimoni, un legame a una dimensione soltanto e che in quella, nulla risparmia. Lui che in un pomeriggio, seduti al Dunkin’ Donuts, le dice sai non mi piacciono le ragazze, e lei non vuole capire, parla d’altro. Lui dice se tu vuoi, me ne vado, non è detto che gli altri debbano sapere niente, scusami –perché scusa era la parola che sentiva più spesso nel centro estetico, lasciapassare per assecondare e compiacere i clienti– lei continua a non ascoltare, e lui insiste, confessa: sai mi piacciono i ragazzi, al che lei chiede a sua volta scusa e va a vomitare in bagno. E’ la lettera che mai nessuno aveva scritto dalla linea di confine in cui inizia una persona e termina l’altra, e dove tagliare il cordone vuol dire bruciare ogni illusione, e non si riesce se non al prezzo della spietatezza.

 

Ci sono pagine che tolgono il fiato, che ci si metta nei panni della madre o del figlio. La madre che vediamo stremata dal lavoro, che si raggomitola nel letto senza aver mangiato, che sogna di essere circondata dagli animali di quand’era in Vietnam, e parla senza la forza di tenere gli occhi in quelli del figlio. Il figlio che è vittima dei bulli, vede prima morire i suoi amici in overdose di oppiacei, poi la nonna amata, e non scalfisce il mistero che avvolge il destino di tutti gli uomini della famiglia. Altre pagine provano che l’onestà è insieme il più grande bene e male che si possa creare tra persone, e come essere colpevoli di verità possa trasformarsi nell’inizio di una libertà.

 

È un romanzo scritto pensando a Barthes –Lo scrittore è qualcuno che gioca con il corpo di sua madre, cita Vuong. E un’altra prova che dopo Brother di David Chariandy o Il simpatizzante di Viet Thanh Nguyen, c’è una straordinaria generazione di perdenti, immigrati che hanno creduto alle promesse americane per poi fare del disincanto una letteratura che splende, sorprende e ci trasforma.

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