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Genitori baciatevi di meno

Simonetta Sciandivasci

La catastrofe irreversibile d’esser cresciuti con una madre e un padre innamoratissimi

Avevo diciassette anni quando lasciai, per noia, un fidanzatino. Mio padre, che non l’aveva mai amato molto, si fece venire la faccia e la voce gravi, ultimative e mi disse: “La tua vita sentimentale è un fallimento”. Quando aveva diciannove anni, lui era già fidanzato da quattro con mia madre, l’unica donna della sua vita, a parte una tedesca che conobbe in un campeggio e che non baciò neppure perché la portò a infrattarsi nell’unico punto della spiaggia metapontina dove c’era lo scarico della fogna – non lo fece apposta, dice lui, ma fa l’avvocato – e lei, comprensibilmente, lo piantò lì e fuggì via indignata.

 

Mia madre, invece, ha avuto solo mio padre. A lei non piace neanche Richard Gere (Sean Connery sì, ma con riserva). Qualche sabato fa è stato il loro anniversario di matrimonio e lei ha scritto su Facebook: “Oggi 39 anni di matrimonio. Quel giorno aveva la stessa luce e il calore di oggi”. Io ho messo un cuore, ho pianto un po’, ho scritto gli auguri nella chat di famiglia e sono uscita a comprare un settimanale cretino, di quelli dove ci sono le foto delle coppie che si tradiscono, divorziano, strappano i figli, dividono le case davanti a un giudice. Era un tentativo come un altro di parricidio. Inutile, come tutti gli altri, psicoanalisi inclusa. Una mia amica, anche lei devastata dal matrimonio felice dei suoi genitori, mi dice che la sola cosa che non riesce a dire in psicoterapia è che vorrebbe tanto che i suoi genitori si amassero un po’ di meno. Come la capisco. Anche io lo vorrei. Mio padre prepara la colazione a mia madre tutte le mattine. Si alza alle sei, apre le finestre del salotto e della cucina per far entrare aria fresca. Poi le richiude. Poi fa il caffè. Poi va a svegliarla. A volte (lo giuro) mette a tavola una rosa (la prende in giardino, non è ancora arrivato al punto di andare dal fioraio, ma prima o poi accadrà). Lei arriva ed è incazzata. Come hai osato svegliarmi, ti odio: glielo leggo negli occhi. Una volta mi disse: “Non so come far capire a tuo padre che mi angoscia dovermi svegliare per fare colazione, peraltro alle sette: è troppo presto”. E io avrei voluto dirle che la capivo, che lo capivo, che si amavano troppo, che era il caso di amarsi di meno. L’anno dopo mi comunicò di aver deciso di sposarsi. Ed io pensai di aver esagerato, coi miei pensieri d’insofferenza, e che non volevo assolutamente che lei sposasse un altro, non scherziamo, maledizione, troviamo un accordo sulle colazioni, mamma, dai, se vuoi dico a papà di non svegliarti prima delle otto, non c’è bisogno di essere tanto radicale, ma dove lo trovi uno bello come papà, un maschio che non suda (giuro: mio padre non suda – o, se suda, non puzza). Ma non fu necessario perché mia madre era mio padre che avrebbe sposato. Di nuovo. Per la seconda volta. In chiesa. “Sai, mi sono convertita, ho chiesto a tuo padre di fare il catechismo e mi ha detto di sì”. Mio padre, che ha smesso di credere in Dio quando aveva undici anni, per lei ha accettato anche questo. Ha fatto un corso prematrimoniale insieme a gente che non era nemmeno nata quando lui si è sposato la prima volta (in comune, coi jeans, nel 1979, col sindaco che non sapeva come si celebrasse perché mai era successo, nella storia di quel paese, che qualcuno si sposasse con rito civile, e i miei nonni infatti si tapparono in casa per la vergogna e li disconobbero finché non nacqui io, sei anni dopo). Ti va di farci da testimone, mi chiese. Certo, mamma. E così ho testimoniato. Ho visto mio padre che, dopo 33 anni di matrimonio, sposava mia madre. Naturalmente mi sono presentata in chiesa con un fidanzato, il dodicesimo annunciato come “quello giusto”, e con il quale è andato tutto in vacca pochi mesi più tardi perché mio padre aveva ragione: la mia vita sentimentale è un fallimento. I figli d’arte sono artisti mediocri: vale per qualsiasi arte, amore compreso.

 

Sono così perfetti che non li ho mai visti neanche scopare. Non mi hanno neanche agevolata con un trauma ed io, che ne avrei bisogno, di un trauma, per sentirmi meno in colpa quando penso a quanto sia gravoso tutto questo loro amore, gravoso e insopportabile, a come sia impossibile, per me, anche solo immaginare di replicare tanta perfezione, perché le cose perfette sono uniche, sono intuizioni e colpi di culo, mica fatica e sacrificio, come hanno tentato di insegnarmi loro, per anni, ecco, io che ho bisogno di appigliarmi a un trauma per sentirmi meno stronza, meno cretina, meno fallita, meno sfigata, mi sono fatta venire l’allergia ai loro baci. Se osano baciarsi in mia presenza, urlo. E mia madre dice: “Quanto sei cretina”. E mio padre non dice niente. Allora cambio stanza. E loro si baciano. E ridono. E pensano che non posso capire. La risposta di mia madre ai miei auguri per il suo anniversario di matrimonio diceva: “Non sempre è stato facile ma ne è valsa la pena”.

 

Chissà se lo sai, mamma, che gran fortuna hai avuto. E’ stato soprattutto culo.

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