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Il Bi e il Ba

La lezione di Esopo per affrontare l'ultradestra

Guido Vitiello

La favola dei lupi e dei cani alleati torna utile per illuminare il dibattito che in queste settimane impegna il fronte conservatore in Italia e in America

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Senza nulla togliere alla “Fattoria degli animali” di George Orwell, io dico che i leninisti, e in generale i rivoluzionari di professione, li aveva capiti meglio Esopo. Nella favola dei lupi e dei cani alleati, a leggerla con un po’ di estro profetico, c’era già tutto. I lupi dicono ai cani: suvvia, siamo bestie simili, salvo che nelle idee. Voi vi accontentate degli avanzi degli uomini, noi vogliamo tutto. Perché non facciamo un patto? Consegnateci il gregge, lo metteremo in comune e ci sarà da mangiare a sazietà per tutti. I cani si lasciano persuadere. Ma i lupi, appena entrati nella stalla, li mettono a morte. La favola torna utile a pochi giorni dal centenario del congresso di Livorno (e in attesa del libro di Federico Mello che lo racconterà, “Compagni!”, in uscita per Utet), ma se rimescoliamo i pezzi del puzzle allegorico può illuminare anche il dibattito che in queste settimane impegna il fronte conservatore in Italia e in America. Per il bene di tutti e della democrazia, dicono in tanti (ultimo Andrew Sullivan sul New York Times), dobbiamo bilanciare i lupi dell’ultradestra mattoide con il peso raziocinante dei cani moderati. Sulla carta, sembrerebbe una buona idea. C’è un problema, però: l’ultradestra è al momento troppo mattoide per essere bilanciata. In America il Gop si sta suicidando in mondovisione inseguendo un mitomane in esilio sul campo da golf; in Italia in prima linea c’è il generale Bagnai che paragona il Recovery fund all’invasione della Polonia, e Borghi che lo difende nelle retrovie. L’alleanza tra cani e lupi non rischia forse di portare all’estinzione politica dei cani? Nella stalla della grillo-sinistra sta già succedendo. Ah, e dimenticavo: noi saremmo il gregge.

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Senza nulla togliere alla “Fattoria degli animali” di George Orwell, io dico che i leninisti, e in generale i rivoluzionari di professione, li aveva capiti meglio Esopo. Nella favola dei lupi e dei cani alleati, a leggerla con un po’ di estro profetico, c’era già tutto. I lupi dicono ai cani: suvvia, siamo bestie simili, salvo che nelle idee. Voi vi accontentate degli avanzi degli uomini, noi vogliamo tutto. Perché non facciamo un patto? Consegnateci il gregge, lo metteremo in comune e ci sarà da mangiare a sazietà per tutti. I cani si lasciano persuadere. Ma i lupi, appena entrati nella stalla, li mettono a morte. La favola torna utile a pochi giorni dal centenario del congresso di Livorno (e in attesa del libro di Federico Mello che lo racconterà, “Compagni!”, in uscita per Utet), ma se rimescoliamo i pezzi del puzzle allegorico può illuminare anche il dibattito che in queste settimane impegna il fronte conservatore in Italia e in America. Per il bene di tutti e della democrazia, dicono in tanti (ultimo Andrew Sullivan sul New York Times), dobbiamo bilanciare i lupi dell’ultradestra mattoide con il peso raziocinante dei cani moderati. Sulla carta, sembrerebbe una buona idea. C’è un problema, però: l’ultradestra è al momento troppo mattoide per essere bilanciata. In America il Gop si sta suicidando in mondovisione inseguendo un mitomane in esilio sul campo da golf; in Italia in prima linea c’è il generale Bagnai che paragona il Recovery fund all’invasione della Polonia, e Borghi che lo difende nelle retrovie. L’alleanza tra cani e lupi non rischia forse di portare all’estinzione politica dei cani? Nella stalla della grillo-sinistra sta già succedendo. Ah, e dimenticavo: noi saremmo il gregge.

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