Il Bi e il ba

La guerra al populismo soft in nome del populismo gentile

Guido Vitiello

Aggettivi, sinonimi e scelte inconcepibili di alcuni elettori

Il Nuovo dizionario de’ sinonimi della lingua italiana di Niccolò Tommaseo, addì 1830, dice che “gentile, nel senso corporeo, è il contrapposto di rozzo, ruvido, rustico”; similmente, “morbido” indica “quella specie di mollezza ch’è contraria al ruvido, al duro”. Due aggettivi che pascolano nello stesso campo semantico. In inglese, poi, soft and gentle fanno addirittura coppia fissa. E allora, mi chiedo io, cosa rende un populista soft così irrimediabilmente diverso da un populista gentile?

 

Il M5s, lo abbiamo appreso pochi giorni fa da Massimo D’Alema, esprime appunto una forma di populismo gentile, e questo va bene. Renzi, al contrario, era un populista soft, e questo non andava affatto bene. Anzi, alla vigilia del referendum costituzionale del 2016 D’Alema mise in guardia la sinistra dai rischi della morbidezza renziana: “Noi non battiamo i Cinque stelle se li inseguiamo sul populismo”, ammonì, “perché tra la copia e l’originale sceglieranno sempre l’originale”. Al populismo soft di Renzi gli elettori avrebbero dunque preferito il populismo hard dei grillini.

 

C’era un metodo nel discorso, forse perfino una ragionevolezza. Quel che proprio mi sfugge, seguendo le implicazioni della logica dalemiana, è perché mai oggi al populismo gentile dei M5s, ammesso e non concesso che sia tale, gli elettori non dovrebbero preferire il populismo “rozzo, ruvido, rustico” di Salvini e Meloni. Dev’esserci qualche ragione linguistica che ignoro, in questa guerra al populismo soft in nome del populismo gentile. Ma Tommaseo, morto vent’anni prima che nascesse Togliatti, non è d’aiuto. 

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