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L’“imboscata” a Gallera e i segnali di una debolezza

Maurizio Crippa

La Lega lo difende, FI lo affossa, così va la politica. Ma su sanità ed economia servono progetti

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Nel famoso paese normale, o in una regione un po’ meno sotto stress nelle sue componenti politiche, le cose sarebbero andate in modo più lineare. Il capo in difficoltà per una guerra (al Covid) persa sceglie il suo capro espiatorio – il suo assessore, ma non del suo partito – e lo toglie dalla scacchiera per cercare di rafforzarsi. Tra i lamenti però risentiti del partito alleato, che vede sacrificato il suo esponente. Martedì in Consiglio regionale le cose sono andate esattamente al contrario. Davanti a una mozione del Pd per richiedere la pubblicazione trasparente dei fondi destinati alla Sanità privata, cui l’assessore al Welfare Giulio Gallera si opponeva, la giunta è andata sotto, con giubilo della parte avversa. Perché 14 consiglieri di maggioranza hanno votato con l’opposizione. E a rapidi conti fatti, sono consiglieri di Forza Italia. Mentre la Lega ha (avrebbe) votato compatta in difesa dell’assessore dell’altro partito. E il giorno dopo più voci leghiste hanno rivendicato la fedeltà di voto e di linea. In sostanza, la Lega guidata da Salvini ritiene che non sia il momento di rimpasti o cambi di poltrona: sarebbe un segnale di debolezza, una sconfessione di quanto fatto finora, in tema Sanità. Dall’altra parte, invece, c’è un partito, Forza Italia, sempre più liquido al suo interno che nell’assessore Gallera non si riconosce. Un po’ perché Gallera non è mai stato parte di nessuna componente di FI, un po’ perché la vittoria a molti padri ma la sconfitta nessuno. Così arrivano segnali. Che, nel famoso paese normale, potrebbero essere intesi come richieste di discontinuità, e persino come un assist a Fontana per liberarsi dalla linea salviniana che, anche nella gestione Covid, non ha dato grandi risultati e da una parte del partito – rigorosamente silente, da Giancarlo Giorgetti in giù – non è del tutto condivisa. Paradossalmente aver agevolato la vittoria, per quanto parziale, delle opposizioni rafforza Fontana nella sua posizione di non cambiare nulla, almeno per ora. Visto in prospettiva più ampia, dalla Lombardia arriva anche un segno di litigiosità e di debolezza della coalizione di centrodestra, che indirettamente lancia segnali anche sul futuro della tenuta nazionale, nonché sul grado di competitività interna quando ci sarà da scegliere il candidato sindaco di Milano. Il tutto in un momento in cui la Lombardia avrebbe invece maggior bisogno governo, e governo strategico.

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Nel famoso paese normale, o in una regione un po’ meno sotto stress nelle sue componenti politiche, le cose sarebbero andate in modo più lineare. Il capo in difficoltà per una guerra (al Covid) persa sceglie il suo capro espiatorio – il suo assessore, ma non del suo partito – e lo toglie dalla scacchiera per cercare di rafforzarsi. Tra i lamenti però risentiti del partito alleato, che vede sacrificato il suo esponente. Martedì in Consiglio regionale le cose sono andate esattamente al contrario. Davanti a una mozione del Pd per richiedere la pubblicazione trasparente dei fondi destinati alla Sanità privata, cui l’assessore al Welfare Giulio Gallera si opponeva, la giunta è andata sotto, con giubilo della parte avversa. Perché 14 consiglieri di maggioranza hanno votato con l’opposizione. E a rapidi conti fatti, sono consiglieri di Forza Italia. Mentre la Lega ha (avrebbe) votato compatta in difesa dell’assessore dell’altro partito. E il giorno dopo più voci leghiste hanno rivendicato la fedeltà di voto e di linea. In sostanza, la Lega guidata da Salvini ritiene che non sia il momento di rimpasti o cambi di poltrona: sarebbe un segnale di debolezza, una sconfessione di quanto fatto finora, in tema Sanità. Dall’altra parte, invece, c’è un partito, Forza Italia, sempre più liquido al suo interno che nell’assessore Gallera non si riconosce. Un po’ perché Gallera non è mai stato parte di nessuna componente di FI, un po’ perché la vittoria a molti padri ma la sconfitta nessuno. Così arrivano segnali. Che, nel famoso paese normale, potrebbero essere intesi come richieste di discontinuità, e persino come un assist a Fontana per liberarsi dalla linea salviniana che, anche nella gestione Covid, non ha dato grandi risultati e da una parte del partito – rigorosamente silente, da Giancarlo Giorgetti in giù – non è del tutto condivisa. Paradossalmente aver agevolato la vittoria, per quanto parziale, delle opposizioni rafforza Fontana nella sua posizione di non cambiare nulla, almeno per ora. Visto in prospettiva più ampia, dalla Lombardia arriva anche un segno di litigiosità e di debolezza della coalizione di centrodestra, che indirettamente lancia segnali anche sul futuro della tenuta nazionale, nonché sul grado di competitività interna quando ci sarà da scegliere il candidato sindaco di Milano. Il tutto in un momento in cui la Lombardia avrebbe invece maggior bisogno governo, e governo strategico.

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Perché la Lombardia, al pari e di più del resto del paese, affronta un momento difficile. A cominciare dal punto più sanguinoso, la necessaria riforma del sistema sanitario. L’assessore Gallera è stato di fatto commissariato già da settimane, con la nomina a nuovo direttore della Sanità di Marco Trivelli, manager di vecchia guardia formigoniana, che ha già iniziato a mettere mano ai dossier di una riforma che va in senso contrario a quella portata avanti negli anni passati dalla Lega e che Gallera si è trovato a dover gestire, e difendere. Il Pd (che oramai parla per bocca dell’eurodeputato Majorino e della deputata Lia Quartapelle anche in regione) ha sostanzialmente ragione nel criticare il centrodestra e Fontana, affermando che dovrebbero sfidare le cocciutaggini sgangherate di Salvini per chiedere invece che i soldi del Mes per la Sanità arrivino subito, anche in Lombardia. Invece Fontana è troppo debole per scartare dalla linea ufficiale antieuropea, che danneggia la sua regione (paradossalmente, era molto più libero e coraggioso quando da presidente dell’Anci regionale manifestava contro i tagli del governo “amico” e di Giulio Tremonti) e il piano per investire nella Sanità, evidentemente, non si può fare con un assessore di fatto sfiduciato.

 

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Non è l’unico punto su cui la Lombardia avrebbe bisogno di maggiore spinta. Martedì, in parallelo con ddl semplificazione, al Pirellone Fontana e l’assessore al Bilancio e Semplificazione Davide Caparini hanno presentato il progetto di legge sulla semplificazione in Lombardia, che va a sommarsi ai diversi procedimenti semplificatori già introdotti dall’inizio della legislatura a sostegno delle imprese. Nel pacchetto: fascicolo informatico d’impresa, conferenze dei servizi in forma telematica e simultanea per ridurre di un terzo i tempi burocratici (da un minimo di 30 a un massimo di 45 giorni), accelerazione dei procedimenti autorizzativi, procedure più rapide sia per i processi edilizi che riguardano la rigenerazione urbana e l’economia circolare. Ma ad esempio, sul fronte delle infrastrutture il piano del Mit (36 opere commissariate) indica poco per la Lombardia. Tanto che ieri fontana se ne è lamentato: la regione ha subito deficit fondamentali sulle nuove infrastrutture, ha detto: “Credo che la Brebemi sia un’essenziale infrastruttura che deve contribuire a migliorare la mobilità sul nostro territorio e credo anche che altre infrastrutture debbano essere presto realizzate”. Ma ad esempio sembrano uscite dall’orizzonte le opere infrastrutturali in vista delle Olimpiadi del 2026. Assolombarda ha pubblicato per il mese di giugno dati di ripresa (o meglio leggera risalita dopo il crac del lockdown) incoraggianti. L’importanza di un governo regionale forte, in grado di programmare e ottenere investimenti rapidi, è evidente. Le guerre di posizione fratricide, che non rilanciano nulla, invece un po’ meno.

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