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Non è mai troppo tardi per iniziare a pensare alla fase 3 politica

Maurizio Crippa

A Fontana potrebbe risultare conveniente rafforzare la sponda con il modello politico di Zaia. Ma questo, e il governatore lombardo lo sa, significa trovare il modo di depotenziare la linea sovranista di Salvini

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Oggi la Lombardia decide se potrà riaprire tenendo il passo delle altre Regioni italiane oppure se, zona più colpita e ancora malata, dovrà segnare il passo come fanalino di coda – e non se lo merita, checché ne abbiano detto i babbei. Scelte politiche, la serenità è lontana e l’impressione è di un procedere a strappi. L’assessore Giulio Gallera ha presentato martedì il piano per i test sierologici indispensabili al tracciamento e alla ripartenza delle aziende, bene, ma già è alle prese con le voci di chiusura dell’ospedale Fiera, e sarebbe uno smacco per un progetto nel quale forse si sarebbe dovuto credere di più – tutti – quando l’emergenza premeva. Il sindaco Beppe Sala, teorico del ruolo delle grandi città, può essere contento delle tante biciclette in giro, ma sa benissimo che non bastano per rifare Milano e sa ancor di più che le sue idee gran-metropolitane – e il green, e la rigenerazione urbana – oggi non trovano sponde a Roma nemmeno dalle parti del Pd. Attilio Fontana ha di fronte a sé l’evidenza che il suo progetto politico principale, l’autonomia differenziata, è di fatto accantonato. Non ha interlocutori al governo (se mai ne ha avuti, ai tempi del Salvini che si occupava solo di sovranismo nazionale) e con il confusionario ministro per gli Affari regionali e le autonomie Francesco Boccia non c’è intesa. Prima del Covid Boccia era impegnato con un modello di nuovo regionalismo, in grado di declinare l’autonomia anche a misura di Città metropolitana (con grande incazzatura dei governatori leghisti e approvazione del sindaco Sala) e oggi è alle alle prese con una fase 2 delle Regioni che, più che all’autonomia differenziata, somiglia molto a un caos fatto di fughe in avanti, ricorsi al Tar, dichiarazioni minacciose e inconcludenti e una sostanziale incapacità di mediazione e regia.

 

Le Regioni italiane hanno riaperto o riapriranno in base alle proprie valutazioni ed esigenze: ed è esattamente ciò che era chiaro a tutti – tranne a certi settori del governo e a qualche comitatone tecnico – da oltre un mese. Mese che è stato perso invece di delineare, semplicemente, le linee guida e gli interventi necessari. Ma in questa situazione, per così dire non aiutata dalla linea del ministro per gli Affari regionali, è soprattutto il governo regionale lombardo – e in particolare la sua componente di maggioranza, la Lega – a dover ripensare al più presto la propria strategia. Fontana sa, o dovrebbe, che otterrà poco se insisterà a rivendicare il ruolo guida della sua Regione, in un’ottica di autonomia differenziata. Senza particolare entusiasmo (ci si potrebbe scommettere) anche il governo di Giuseppe Conte sa oggi che il modello cui guardare (o trattare) è invece il Veneto dell’altro governatore leghista, Luca Zaia. A Fontana potrebbe risultare conveniente rafforzare la sponda con il modello politico di Zaia, più attento a gestire anche gli scontri con Roma. Ma questo, e il governatore lombardo lo sa, significa trovare il modo di depotenziare la linea sovranista e anti europea di Salvini, che invece in questi mesi drammatici ha pesato fin troppo sulle scelte di Palazzo Lombardia. Gli assetti politici e tanto più istituzionali (“grande Milano” compresa), non sono ora la priorità e hanno tempi lunghi. Ma per la Lombardia, per Milano, non è mai troppo tardi iniziare a pensare a una fase 3 della politica.

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