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Un virus a Palazzo

Daniele Bonecchi

La trasformazione di Fontana da saggio amministratore a simbolo della débâcle e il ruolo di Salvini

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Dov’è finito l’amministratore concreto rispettato anche dagli avversari, che sapeva mettere gli interessi dei cittadini al di sopra di quelli di partito? I sindaci della Lombardia ricordano la persona sempre pronta al confronto con tutti, lontana da posizioni ideologiche o strumentali. Che fine ha fatto lo spirito di Attilio Fontana, non reperibile nemmeno nella intervista a vuoto rilasciata ieri al Corriere? “All’Anci fu un’esperienza, sia personale che politica, favorevole e anche piacevole”, spiega Giorgio Oldrini, per lungo tempo sindaco di sinistra di Sesto San Giovanni, all’epoca vicepresidente con Giulio Gallera dell’Anci, mentre Fontana, sindaco di Varese ne era il presidente. “Alla guida del paese c’era un governo di centrodestra che aveva messo alle corde i bilanci dei comuni. Coi sindaci della Lombardia e l’Anci organizzammo una imponente manifestazione e Fontana non si fece condizionare: un atto di coraggio apprezzabile. Poi – conclude Oldrini – quando cambiò l’aria e il centrosinistra tornò maggioranza nel paese, ci fu chi chiese la testa di Fontana ma io mi opposi: aveva sempre dimostrato correttezza e onestà. Insomma, un leghista ‘democristiano’, nell’accezione positiva”. E quando Matteo Salvini – dopo la rinuncia di Bobo Maroni – propose Fontana alla Regione, in molti, anche di orientamento politico diverso, la trovarono una buona scelta. Fontana ereditava da Maroni il progetto dell’autonomia differenziata, un obiettivo da realizzare al più presto. Ma il governo Salvini-Di Maio non mosse foglia, poi Francesco Boccia non ha fatto che complicare la partita. Un fallimento politico. Il resto è storia delle ultime settimane.

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Dov’è finito l’amministratore concreto rispettato anche dagli avversari, che sapeva mettere gli interessi dei cittadini al di sopra di quelli di partito? I sindaci della Lombardia ricordano la persona sempre pronta al confronto con tutti, lontana da posizioni ideologiche o strumentali. Che fine ha fatto lo spirito di Attilio Fontana, non reperibile nemmeno nella intervista a vuoto rilasciata ieri al Corriere? “All’Anci fu un’esperienza, sia personale che politica, favorevole e anche piacevole”, spiega Giorgio Oldrini, per lungo tempo sindaco di sinistra di Sesto San Giovanni, all’epoca vicepresidente con Giulio Gallera dell’Anci, mentre Fontana, sindaco di Varese ne era il presidente. “Alla guida del paese c’era un governo di centrodestra che aveva messo alle corde i bilanci dei comuni. Coi sindaci della Lombardia e l’Anci organizzammo una imponente manifestazione e Fontana non si fece condizionare: un atto di coraggio apprezzabile. Poi – conclude Oldrini – quando cambiò l’aria e il centrosinistra tornò maggioranza nel paese, ci fu chi chiese la testa di Fontana ma io mi opposi: aveva sempre dimostrato correttezza e onestà. Insomma, un leghista ‘democristiano’, nell’accezione positiva”. E quando Matteo Salvini – dopo la rinuncia di Bobo Maroni – propose Fontana alla Regione, in molti, anche di orientamento politico diverso, la trovarono una buona scelta. Fontana ereditava da Maroni il progetto dell’autonomia differenziata, un obiettivo da realizzare al più presto. Ma il governo Salvini-Di Maio non mosse foglia, poi Francesco Boccia non ha fatto che complicare la partita. Un fallimento politico. Il resto è storia delle ultime settimane.

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Per capire dove sia finito il metodo Fontana – e la Lega che per anni ha governato all’interno di un centrodestra riformatore – e anche per capire una gestione politicamente disastrosa (Luca Zaia ha gestito meglio le burrasche con Roma), bisogna osservare che, oltre allo tsunami virus, su Palazzo Lombardia si è abbattuto un altro tsunami, Matteo Salvini. Cosa che i leghisti non ammetteranno mai, ma bastano certi silenzi duri (Giorgetti per primo) per intuire l’aria che tira. Salvini, dopo la caduta del Conte 1, ha pensato di utilizzare le regioni governate dalla Lega come una clava. E se “nel Veneto con Zaia – ci dice un leghista della prima ora, che preferisce restare al coperto – non batte chiodo, usa la Lombardia come una testa d’ariete contro il governo, un gioco pericoloso anche perché le risorse arrivano da Roma”. Inizia così la mutazione di Fontana, con gli attacchi quotidiani al governo e, quando è necessario, a Beppe Sala (già prima del Covid, in realtà). E’ il caso dello stop alle librerie quando il governo dà il via libera, o l’avvio dei test sierologici in tutta la regione tranne che a Milano. Ma dietro questa strategia c’è il Capitano, che, dopo aver occupato gli uffici della Giunta, arriva ad annunciare su Twitter: “Mattinata di lavoro in Regione Lombardia, obiettivo riaprire in sicurezza, fare uscire di casa i cittadini e far ripartire il paese, i cantieri, le aziende, i negozi, le attività: è quello che chiedono i cittadini, le famiglie, le imprese, i sindaci, i governatori. Abbiamo ascoltato tutte le categorie e ora è necessario un piano per la ripartenza e la ricostruzione: servono liquidità e soldi a fondo perduto”.

 

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Chiede “sanatoria dei debiti e delle liti del passato fra stato e cittadini anche con condoni e pace fiscale ed edilizia, potente taglio di tasse e burocrazia, non debiti imposti da misure come il Mes”. Punto. Un programma disastroso, soprattutto in chiave europea. E i lombardi, anche leghisti, sanno che per il nord l’Europa è basilare. “Ormai la regia è nelle sue mani – spiega l’anonimo leghista – ma la regione porta sulle spalle un fardello pesante, 12 mila morti. E anche se scarichi le responsabilità su altri è una situazione sempre più difficile. A tutt’oggi ci sono 150 morti al giorno ma sembra che a Palazzo Lombardia nessuno se ne accorga. Se la vicenda giudiziaria esplode il rischio commissariamento può diventare concreto”. E le sbandate di Salvini si fanno sentire. Il 21 febbraio diceva: “Bisogna chiudere tutto”, mentre il 27 dello stesso mese spiegava “occorre tornare alla normalità”; di nuovo il 10 marzo: “Fermiamo tutto per i giorni necessari”. e il 26 cambia registro: “Era evidentemente una valutazione scientificamente sbagliata”. E così via, costringendo Fontana a tenergli dietro: il balletto sulla apertura del 4 maggio è un’altra iniziativa risultata debole, senza contare che ieri la Federazione italiana medici di medicina generale ha duramente bocciato il piano regionale sotto il profilo sanitario. Fontana e la sua Giunta non hanno – ovviamente – tutte e solo le colpe della grave situazione. Ma è chiaro che faticare a imporre una propria road map credibile, mentre il Capitano imperversa sui social, aumenta la debolezza. E il malcontento nella Lega cresce, ne parlano tutti, dentro e fuori il Palazzo. Lo scontro con Giorgetti riguarda la gestione dei rapporti con l’Europa e la crisi sanitaria. Giorgetti e Zaia sono in sintonia e non vogliono rotture traumatiche in particolare con l’Europa. Tocca a Fontana, il più esposto, decidere che fare.

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