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La “riforma costituzionale” dell’ospedale in Fiera

Maurizio Crippa

Berlusconi, Bertolaso, le liti con la burocrazia “romana” e un’idea di Protezione civile

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La donazione milionaria di Silvio Berlusconi e la nomina a un euro di Guido Bertolaso a consulente della Regione per il progetto dei padiglioni ospedalieri alla Fiera hanno contribuito a sbloccare una situazione paradossale che si era malamente ingarbugliata e hanno un non piccolo valore simbolico. Il fondatore di Forza Italia “ha deciso di mettere a disposizione di Regione Lombardia, tramite una donazione, la somma di 10 milioni di euro necessaria per la realizzazione del reparto di 400 posti di terapia intensiva alla fiera di Milano”. Bertolaso, come spiega il vicepresidente lombardo Fabrizio Sala, “ha il compito di costruire l’ospedale… si sta creando un team molto forte, con i tecnici di Regione Lombardia che lavorano in squadra”. Quelli di Berlusconi non sono ovviamente gli unici denari donati per l’operazione Fiera. Remo Ruffini, patron di Moncler, ne ha destinati altrettanti: “Ho manifestato all’assessore Giulio Gallera la volontà di supportare questo grande progetto sin dal momento in cui è stato ipotizzato e ora che ci sono ragionevoli certezze sulla fattibilità, siamo pronti a sostenerlo". Poi ci sono i Caprotti di Esselunga e altri ancora, Attilio Fontana ha conteggiato 40 milioni a disposizione. Ma oltre ai simboli, che contano per quel che contano, c’è un dato più politico, reso evidente da chi ha miseramente polemizzato sul regalo di Berlusconi. Ieri su Repubblica Stefano Folli, commentando la vicenda e notando che “l’attenzione mediatica si è immediatamente concentrata sull’ex presidente del Consiglio”, ha stigmatizzato chi “gli ha detto ‘chapeau’ (Renzi e Calenda)” come un tentativo di subentrare nel suo elettorato, mentre la sinistra avrebbero il timore di un suo ritorno in gioco. Analisi non centralissima, in questo momento, né centratissima.

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La donazione milionaria di Silvio Berlusconi e la nomina a un euro di Guido Bertolaso a consulente della Regione per il progetto dei padiglioni ospedalieri alla Fiera hanno contribuito a sbloccare una situazione paradossale che si era malamente ingarbugliata e hanno un non piccolo valore simbolico. Il fondatore di Forza Italia “ha deciso di mettere a disposizione di Regione Lombardia, tramite una donazione, la somma di 10 milioni di euro necessaria per la realizzazione del reparto di 400 posti di terapia intensiva alla fiera di Milano”. Bertolaso, come spiega il vicepresidente lombardo Fabrizio Sala, “ha il compito di costruire l’ospedale… si sta creando un team molto forte, con i tecnici di Regione Lombardia che lavorano in squadra”. Quelli di Berlusconi non sono ovviamente gli unici denari donati per l’operazione Fiera. Remo Ruffini, patron di Moncler, ne ha destinati altrettanti: “Ho manifestato all’assessore Giulio Gallera la volontà di supportare questo grande progetto sin dal momento in cui è stato ipotizzato e ora che ci sono ragionevoli certezze sulla fattibilità, siamo pronti a sostenerlo". Poi ci sono i Caprotti di Esselunga e altri ancora, Attilio Fontana ha conteggiato 40 milioni a disposizione. Ma oltre ai simboli, che contano per quel che contano, c’è un dato più politico, reso evidente da chi ha miseramente polemizzato sul regalo di Berlusconi. Ieri su Repubblica Stefano Folli, commentando la vicenda e notando che “l’attenzione mediatica si è immediatamente concentrata sull’ex presidente del Consiglio”, ha stigmatizzato chi “gli ha detto ‘chapeau’ (Renzi e Calenda)” come un tentativo di subentrare nel suo elettorato, mentre la sinistra avrebbero il timore di un suo ritorno in gioco. Analisi non centralissima, in questo momento, né centratissima.

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Lasciati da parte simboli e politica, la vera questione che il progetto della Fiera, messo in campo inizialmente dalla Regione dall’ad di Fondazione Fiera, Enrico Pazzali è un’altra. E mette capo a un’idea, e a una sperimentazione, nata negli anni scorsi proprio attorno alla Protezione civile di Bertolaso e che vale la pena riconsiderare. L’idea della necessità, nelle emergenze e in tutti i progetti operativi che necessitano di agilità e velocità, di un modus operandi diverso dai tempi e dagli ingorghi della politica e della burocrazia. La necessità di creare sistemi operativi dotati di regole e linee di comando brevi, efficienti. La storia della Protezione civile, fin dai tempi della sua nascita nel 1982 come dipartimento della Protezione civile, sotto la guida dell’indimenticato Giuseppe Zamberletti, è una delle migliori storie di governance e di efficienza italiane, capace tra l’altro di avvalersi dell’aiuto di enti e strutture non statali. Negli anni di Berlusconi, la “sua” Protezione civile è cresciuta di ruolo e di campo d’azione, forse persino troppo, ma non senza una logica. Che non è, ovviamente, la logica “criminogena” che gli rimproveravano gli alfieri del manipulitismo. Oltre alle emergenze vere e proprie, il capo della Protezione civile ha avuto il compito di organizzare i Mondiali di ciclismo di Varese 2008, l’organizzazione del G8 della Maddalena poi trasferito all’Aquila, di intervenire su altri grandi eventi che necessitavano sveltezza esecutiva.

 

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C’è chi ha accusato Berlusconi di aver creato “nella sostanza, un corpus giuridico parallelo”. Con Bertolaso “la gestione emergenziale è diventata prassi e ha interessato contesti di ogni genere”. Ci sarebbe innanzitutto da annotare, per i manipulitisti pavloviani, che per la vicenda degli appalti del G8 Bertolaso è stato assolto “perché il fatto non sussiste” (dunque perché l’inchiesta non aveva motivo di essere aperta). E lo stesso è avvenuto per quella sul terremoto dell’Aquila. Ma il progetto era più ambizioso e diverso. E riconsiderandolo oggi, si potrebbe dire che si tratta della più importante, forse l’unica, riforma istituzionale che Berlusconi abbia seriamente provato a portare a casa. Al centro c’era l’esigenza di snellire il percorso delle realizzazioni di opere importanti, con una sola struttura decisionale – dagli appalti agli acquisti, alle opere alla tempistica, che in Italia si perdono e arenano nei rivoli paludosi delle competenze e dei ricorsi. E’ un po’ anche il modello che verrà replicato con Beppe Sala commissario per l’Expo milanese.

 

Ora l’emergenza Covid-19 è, ovviamente, di ben altra gravità. Le strutture ospedaliere regionali sono al limite della tenuta, i presìdi sanitari mancano. L’allarme per una regione passata da locomotiva economica d’Itala a grande malata d’Europa (se non potrà ripartire, se non potrà fermare in fretta il contagio) è stato sottovalutato. Al posto di una totale collaborazione tra stato e Regione e sistema sanitario pubblico-privato ci sono state prima le scaramucce tra il premier Giuseppe Conte e l’assessore Gallera, e poi il surreale caso dell’ospedale in Fiera. Messo inizialmente in dubbio dal governo e dalla Protezione civile ora guidata da Angelo Borrelli (il commissario straordinario Domenico Arcuri ha prima frenato e poi ha dato un sostanziale assenso) e persino dal ministro agli Affari regionali Francesco Boccia. Quasi che il progetto messo in campo da Fiera e Regione fosse concorrenziale con quanto si sta già facendo a livello nazionale. I giornali hanno parlato di una “ostinazione lombarda” a volere fare da soli. A Folli sono scappati un paio di lapsus. Uno quando scrive che ora ci si trova con “un capo della Protezione civile a nord del Po e uno a Roma”. E uno, più rivelatore, quando dice che esiste “una linea di frattura con la burocrazia romana”. Dove la parola chiave è “burocrazia”. Il punto è esattamente qui. Se può sembrare assurdo che in un momento così difficile ci si possa anche minimamente dividersi su giochi di potere, è anche più assurdo che il governo non colga che il “whatever it takes” per la Lombardia è fondamentale, nella più grave crisi che abbia mai conosciuto. I soldi arrivano, come visto, da donazioni private. Fiera è una fondazione con autonomia di gestione e conti in ordine, eppure c’è chi ha voluto evocare la necessaria supervisione di Cdp. E’ stato chiesto a un manager esperto di dare una mano, dov’è il problema?

 

Della necessità di superare le gabbie decisionali, e di quanto sia complicato sveltire persino il sistema degli acquisti delle mascherine o la loro donazione da privati, parliamo in un articolo di questa pagina. Ci sono due concetti politici che quanto sta accadendo in Lombardia dovrà in futuro insegnare. Il primo è che la tanto richiesta, e a tratti malamente, idea di autonomia sulla Sanità (per tanti ora il male assoluto), andrà interpretata finalmente nella logica della sussidiarietà: lo stato interviene laddove il potere amministrativo locale non può arrivare. Con spirito collaborativo. La seconda è la necessità di rivalutare la “riforma costituzionale” à la Berlusconi-Bertolaso, intesa come necessità per un paese che non voglia crollare di rivedere tutto il sistema delle decisioni di emergenza. Il virus è anche qui.

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