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C’era una volta il lodigiano, e ci sarà ancora. Storie di aziende

Luciana Grosso

Secondo i dati della Camera di commercio locale nella zona ci sono 14.509 imprese, di queste più di 3.000 sono nella zona rossa. Il danno economico rischia di essere importante, ma è ancora rimediabile se l’allarme si limiterà nel tempo

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C’era una volta il lodigiano, una zona tra le più floride d’Italia e d’Europa. Oggi questa zona non c’è più. O meglio, per esserci, c’è ancora, stesa nella pianura tra Milano e Piacenza. Solo che rischia di uscire profondamente segnata dalle due settimane di chiusura forzata. Il fermo totale (con la sola eccezione dei negozi di beni di prima necessità e delle aziende di zootecnia) vale solo per i dieci comuni della zona rossa, considerata focolaio e che va da Castiglione (a circa 10 chilometri da Lodi) a Codogno (poco prima di Piacenza). Ma anche i dintorni, benché siano zona gialla sono in grave affanno. “Nel lodigiano – ci dicono dalla locale Camera di commercio – si contano 14.509 imprese. Di queste più di 3.000 sono nella zona rossa, ossia completamente ferme”.

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C’era una volta il lodigiano, una zona tra le più floride d’Italia e d’Europa. Oggi questa zona non c’è più. O meglio, per esserci, c’è ancora, stesa nella pianura tra Milano e Piacenza. Solo che rischia di uscire profondamente segnata dalle due settimane di chiusura forzata. Il fermo totale (con la sola eccezione dei negozi di beni di prima necessità e delle aziende di zootecnia) vale solo per i dieci comuni della zona rossa, considerata focolaio e che va da Castiglione (a circa 10 chilometri da Lodi) a Codogno (poco prima di Piacenza). Ma anche i dintorni, benché siano zona gialla sono in grave affanno. “Nel lodigiano – ci dicono dalla locale Camera di commercio – si contano 14.509 imprese. Di queste più di 3.000 sono nella zona rossa, ossia completamente ferme”.

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Difficile stimare il danno sul lungo periodo, ma la Confartigianato locale ha provato a fare una stima di quello immediato: “Sulla base del dato del fatturato medio abbiamo calcolato una perdita settimanale di circa 49 milioni di euro solo nei 10 comuni interessati dal focolaio. Se si estende l’analisi all’intera provincia di Lodi si stima un fatturato medio settimanale di 189 milioni di euro”. Tanto, certo. Ma ancora rimediabile, se l’allarme si limiterà nel tempo. “Ci vorrà qualche mese per capire se e quanto estesa sarà la ricaduta di queste due settimane di chiusura e di allarme sanitario” ci conferma Franco Bergamaschi, titolare di Erbolario, l’azienda lodigiana forse più famosa nel mondo. Come lui anche Michele Bartyan, riferimento di Telme, azienda forse poco nota al grande pubblico ma molto conosciuta nel suo settore, visto che è una delle maggiori al mondo per la produzione di macchinari per il gelato: “Siamo fermi da due settimane. Probabilmente reggeremo perché abbiamo molti ordini dall’estero. Ma è presto per dirlo. E’ verosimile pensare che su di noi arriverà l’effetto a cascata della crisi di aziende più piccole. Se i dettaglianti che vendono gelato al pubblico hanno difficoltà, ridurranno gli investimenti e i nuovi acquisti”.

 

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Poco più a nord, a Casalpusterlengo, la situazione non cambia dalle parti di Anatolja, una delle aziende più importanti d’Europa per la produzione di carni di kebab. Con Taylan Arslan, il giovane titolare di origine curda, il coronavirus è stato particolarmente beffardo: “Ho speso alcuni milioni per trasferire la mia attività da Cornovecchio a Casalpusterlengo. Ho realizzato un impianto all’avanguardia. Avrei dovuto iniziare a produrre lunedì scorso. Ma prima che potessi accendere un solo macchinario, è arrivato il blocco delle attività. Al giorno perdo circa 12 mila euro, ma non ho idea di quanto potranno pesare i mancati ordini”. Ma se le grandi aziende hanno (ancora) margine e tempo per aspettare, non è così per le piccole realtà, specie quelle agricole: “I campi vanno preparati per la semina – racconta Carlo Rancati, Coldiretti di Santo Stefano lodigiano – La mia azienda è fuori dalla zona rossa, ma molti dei miei lavoranti abitano lì. Ho chiesto aiuto da fuori ma in pochi hanno risposto. Per preparare i campi abbiamo ancora qualche giorno, forse una settimana o due”. Malissimo, infine, vanno le cose per le piccole aziende e per gli esercenti: “Ci sono ristoranti che, a fronte di un incasso medio giornaliero di 1.500 euro, hanno chiuso la giornata con 60 euro. Altri hanno fatto ancora meno, altri ancora hanno deciso di chiudere del tutto”. dice Vittorio Codeluppi, responsabile provinciale di Asvicom, associazione dei commercianti. “Per questo abbiamo chiesto al sistema bancario territoriale di intervenire agevolando l’accesso al credito, in modo veloce e puntuale: abbiamo chiesto una cifra che ci è parsa essere più che ragionevole per i piccoli commercianti ed esercenti: abbiamo ipotizzato su tre mesi un impegno per singola Pmi di circa 20.000. Una misura concreta, che potrebbe evitare il collasso del sistema”.

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