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Restituire servizi alla società. Questa è la “terza missione” delle università

Paola Bulbarelli

Non solo ricerca e formazione, ora gli atenei vogliono coinvolgere la città e territorio. L’esempio della Cattolica

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Parola d’ordine – anzi, “terza missione” – coinvolgere. Il territorio, la città, i docenti, i laureati, gli ex studenti. Da tempo, le migliori università, non solo italiane, si sono date un compito non da poco, accanto ai due obiettivi fondamentali della loro attività: la formazione e la ricerca. Si sono impegnate a favorire l’applicazione diretta, la valorizzazione e l’impiego reale e concreto della conoscenza. La chiamano appunto la “terza missione”. Che ha l’obiettivo di contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico del “mondo che sta fuori dall’accademia”, a partire dalla città. E non è un caso che una sensibilità simile sia molto avvertita proprio dagli atenei milanesi. La prima a dare una forma codificata a questa “mission” è ora l’Università Cattolica.

 

Secondo il professor Mario Molteni, delegato del rettore ai rapporti con le imprese – ovvero il delegato del rettore alla terza missione – “la Cattolica ha scelto un modello che si potrebbe definire d’imprenditorialità diffusa. Le persone hanno sempre più bisogno di quello che si chiama lifelong learning, cioè di una formazione che prosegue tutta la vita perché le competenze diventano obsolete e bisogna svilupparne di nuove o per integrare con nuove conoscenze. Quindi da una parte le persone e dall’altra le organizzazioni: che sono sia le imprese, che hanno bisogno di tecnologia e anche di muoversi verso la sostenibilità e l’economia circolare. Ma sono anche gli enti del terzo settore, che spesso necessitano di supporti da quelli economici, giuridici, psicologici”. Le università organizzano e promuovono incontri, conferenze, spettacoli ed eventi aperti alla città per divulgare la ricerca scientifica anche tra i non esperti e condividere così la conoscenza, in un dialogo costante e proficuo con le istituzioni cittadine e le realtà culturali e sociali del territorio.

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Con l’espressione  public engagement si identifica appunto questo insieme di attività, senza scopo di lucro, con valore educativo, culturale e di sviluppo sociale svolte a beneficio di pubblici diversi rispetto agli studenti, alle comunità scientifiche o alle imprese. “Terza missione non è un fatto nuovo, qui in Cattolica ci sono circa 80 centri di ricerca che fanno ricerca applicata che può andare dalla criminologia, alla internazionalizzazione delle imprese, alla ricerca sugli aspetti giuridici del terzo settore, alla ricerca in archeologia. Tre, quattro convegni al giorno, oltre 200 incontri in un anno tutti riconducibili alla terza missione, anche senza chiamarli tali. Un piano organico con 1.500 professori, due terzi dei quali fanno attività direttamente ‘per’ la società. È la funzione fondamentale dell’università, grande centro che produce idee di cambiamento della società”, spiega Molteni.

 

Attività, quindi, che rientrano sotto il grande cappello della terza missione con un effetto di sviluppo e di sistematizzazione. “Non è una ricaduta casuale, ma è fondamentale che l’università si muova in questa direzione perché tanto più si fa terza missione e tanto più facilmente la prima e la seconda missione hanno un buon impulso, hanno un nesso con la realtà. Spesso ci si lamenta del distacco che c’è tra università e mondo del lavoro ma se guardiamo a una città come Milano, ormai in una fase di nuova fioritura, di aperture internazionali, non possiamo che ammettere che qui ci sono grandi università riconosciute a livello nazionale e internazionale che attraggono studenti e docenti da tutto il mondo e che hanno tanto da offrire alla città, al territorio e al paese”. E questo vale per tutte le università milanesi. “Bisogna dire che l’università dà tanto al territorio ma anche l’università vive del territorio. Se ho attorno un mondo finanziario vivace, se Milano è un punto di riferimento per il terzo settore, il fashion, il design, l’arte, è chiaro che le università milanesi diventano più forti e hanno stimoli per migliorare, imparare e restituire”.

 

La Cattolica, prima in Italia, ha lanciato l’idea di aprire le porte dell’università (il 14 febbraio dalle 16,30 per finire alle 20,30 in Aula Magna con un breve spettacolo teatrale) con un evento dal titolo “L’Università che non ti aspetti”, dedicato proprio alla terza missione. Sotto la forma di una fiera verranno illustrati progetti emblematici preparati da docenti e ricercatori che sono stati un servizio al territorio e alla società (il programma è online). Molteni conclude con una notazione: “Potrebbe essere un’occasione per i laureati o vecchi alunni per capire cosa la loro università sta facendo a distanza di dieci, vent’anni dalla loro uscita e in che modo potersi ricollegare e riannodare con l’università. Forse questo è un difetto che le università italiane hanno molto di più delle università anglosassoni, la capacità di mantenere legati i loro laureati che magari si affermano nella società e che quindi potrebbero dare molto proprio in termini di nesso tra università e mondo del lavoro”.

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