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gran milano

Bollettino politico della Lombardia di lunedì 26 settembre

Fabio Massa

Qualche previsione (non difficile) su piccoli e grandi terremoti locali che il voto politico causerà. Per tutti

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Le conseguenze delle elezioni, quasi sempre, vivono nascoste in bella vista. Sono logiche, e dunque lampanti a qualunque osservatore anche prima che il magico rito delle urne sia compiuto. Basta aguzzare la vista. Rassegna minima di quel che potrebbe/dovrebbe accadere a Milano dopo il 25 settembre.

 

Calenda mon amour - “Il fatto che Renzi e Calenda siano andati da soli alle politiche è un problema. Ma se lo facessero anche per le regionali sarebbe un problema gravissimo. A Bergamo nella mia lista civica ci sono moltissimi che voteranno Terzo polo”. Parole e musica, dal palco della festa dell’Unità di Milano, di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo. Una manciata di ore prima Massimiliano Mingoia, fine osservatore, incalzava Matteo Renzi sulla presenza in giunta e in consiglio a Milano del Terzo polo, in alleanza strutturale con il Pd. Renzi ha nicchiato, a differenza di Gori che invece l’ha detta papale papale: se la distinzione tra Pd e Terzo Polo permane, è un problema anche per le amministrazioni locali. E se con una posibile svolta a sinistra del Pd, verso i Cinque stelle, sarebbe anche peggio. La domanda dunque non è oziosa: persa la contesa alle politiche, ci sarà occasione di dividersi nuovamente sulla Lombardia e magari anche sul Lazio? Già adesso stare uniti nell’amministrazione di Milano, Bergamo e tante altre realtà, e divisi nella campagna elettorale, è un bell’esercizio di pazienza. Se la stessa divaricazione avvenisse per le Regionali, chi brinderebbe?

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La sfida di Letizia - Per le Regionali conteranno le scelte di Renzi e Calenda. E’ cosa certa, confermata al Foglio, che Mariastella Gelmini, calendiana, stia parlando con Letizia Moratti alla quale è legata da “stima e riconoscenza per quel che ha fatto insieme a Guido Bertolaso nella vaccinazione massiva anti Covid”. Quindi, nel Terzo polo, la donna più potente di Lombardia, che è appunto Gelmini, punta dritto sulla candidatura dell’attuale vicepresidente regionale. Che però – dettaglio non da poco – siede nella giunta di Attilio Fontana, a questo punto un avversario, che ancora non l’ha mandata via. Se e quando lo farà, non è dato sapere ma si può ipotizzare (qui sotto). Fatto sta che l’idea di Letizia Moratti candidata con Calenda, che per primo disse che era una figura autorevole e in sintonia con la Lombardia, non è né balzana né campata per aria. A quel punto il Pd avrebbe due scelte: insistere su Cottarelli o su altra candidatura autonoma da concordare con il M5s, oppure convergere su Moratti, a costo però di mal di pancia fortissimi da parte del gruppo regionale dem, che per anni ha avversato la titolare della Sanità.

 

Il caso Cottarelli - Il professor Carlo ha il dono della sintesi, e in una intervista l’ha affermato senza infingimenti: la candidatura nell’uninominale di Crema e Cremona, sua terra natìa, non è una sfida da vincere ma da perdere bene. Già il fatto di avergli chiesto di correre per rischiare l’umiliazione (per mano della Santanché, poi!) non depone a favore di chi ha fatto le liste. Ma se questa umiliazione avvenisse, se Cottarelli ottenesse un risultato assai deludente nella Lombardia profonda, in una cornice che potrebbe vedere Enrico Letta, suo sponsor, indebolito dalla sconfitta alle politiche, che cosa avverrebbe? Lui stesso potrebbe pensare di evitarsi una figuraccia alle regionali, malgrado la parola data al segretario dem. O magari sarebbero le correnti locali a rivendicare la famosa autonomia (quando serve…) e rispolverare le primarie. Altre piccole turbolenze, ma da un punto di vista di sostegno anche economico potrebbero arrivare per Calenda & Co. dall’incredibile scelta di non candidare Gianfranco Librandi. Il sostenitore dalla prima ora delle opzioni riformiste è stato candidato da +Europa. E’ legittimo supporre che Librandi abbia fiutato l’eccessivo sbilanciamento a destra della nuova formazione.

 

Addio alla Lombardia - Conseguenze importanti non ci saranno solo per gli sconfitti. Pure Attilio Fontana dovrà pensare a come mettere mano alla sua giunta, considerato che in tre lasceranno il posto. Il primo, Riccardo De Corato, è stato già sostituito da Romano La Russa, fratello di Ignazio. Peraltro con una certa urgenza, motivata in ambiente romano – pare – dalla necessità di dare un segnale. i militanti come Romano La Russa che non vengono premiati per questioni di opportunità (e di cognome) avranno comunque il loro posto al sole sui territori. Oltre a De Corato lasciano il posto poi Lara Magoni, sempre di Fdi, e soprattutto Fabrizio Sala, candidato per Forza Italia. Sala è uno degli elementi che hanno dato equilibrio alla giunta, capace di fare un passo indietro con eleganza quando gli venne chiesto di far posto a Letizia Moratti come vicepresidente. La sua assenza produrrà conseguenze non positive per la Lombardia. La prima: Fontana dovrà fare un rimpasto. La domanda mai posta è semplice: ne approfitterà per risolvere anche il problema con Letizia Moratti? 

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Evviva i congressi! - Comunque vada sarà un cambiamento. Almeno a livello locale. Se per i dem dovesse essere una débacle allora si aprirà la fase del congresso, con un Enrico Letta  debolissimo. In ogni caso inizia il percorso che porterà a nuovi vertici regionali e metropolitani. Dunque, i ruoli oggi ricoperti da due parlamentari in pectore (hanno seggi sicuri), ovvero Vinicio Peluffo e Silvia Roggiani. Entrambi ruoli importantissimi, e non vedranno una sostituzione prima delle Regionali: è stato tutto rimandato, per volontà di Letta, malgrado la scadenza fosse prevista per novembre 2022. Di certo le correnti inizieranno a muoversi subito, con un attivismo che è lecito aspettarsi dal gruppo dei dem forse oggi più vitale: quello dei giovani democratici, capeggiati da Romano & Romani, ovvero da Paolo Romano e Gaia Romani, il primo alle prese con un collegio quasi impossibile e la seconda con l’esperienza amministrativa all’interno della giunta Sala.

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