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Cambiare in meglio la Sanità privata per curare quella pubblica 

Fabio Massa

Nuovo sistema dei budget e copiare (un po’) l’Emilia. Foresti (Centro Santagostino) dà idee che potrebbero piacere al Pd

Uscire dalle semplificazioni e dai binomi, dai latrati dei cani di Pavlov. Schiacci il pulsante “elezioni Lombardia” e la sinistra urla all’unisono (più o meno, e fortunatamente negli ultimi anni meno): “Sanità solo pubblica”. Le motivazioni sono le solite: troppa attesa per gli esami, ospedali privati bellissimi, ospedali pubblici carenti. E poi la politica in corsia, oddio oddio, e altre corbellerie simili.

Alla prova dei fatti negli ultimi 20 anni, ovvero da quando Roberto Formigoni varò la sua riforma, i lombardi hanno sempre scelto compattamente per il sistema misto pubblico-privato. Non riuscì a far cambiare loro idea nemmeno il compianto Riccardo Sarfatti, gentiluomo. Non riuscì a far cambiare loro idea nemmeno il compianto Filippo Penati, gentiluomo. Forse il Pd questa volta una chance ce l’ha, con la Lega in grande difficoltà (per molti motivi, tra i quali la sanità è il meno) e un centrodestra che si regge sulle alchimie di Arcore, alchimie stanche, ma oldies but goldies. Ha una chance, la sinistra, purché cerchi nuove idee da persone nuove, magari competenti.

Uno di questi dispensatori di buone idee potrebbe essere Luca Foresti, un fisico approdato una decina d’anni fa alla guida del Centro Medico Santagostino. Alto, occhiali, una enorme lavagna grande come una parete nel suo ufficio e un canestro tutto in legno, Foresti non parla se non ha qualche dato da fornire. “Quando si parla di sanità bisogna chiedersi chi paga e chi eroga. Le risposte a queste due domande non possono che essere binarie: pubblico o privato per chi paga, pubblico o privato per chi eroga. Nel pagamento pubblico abbiamo i 122 miliardi di spesa del Servizio sanitario nazionale italiano. Sono i soldi delle nostre tasse, che vengono suddivisi a erogatori pubblici, quindi con dipendenti pubblici e ospedali pubblici, ed erogatori privati, quindi con dipendenti privati e ospedali privati. Quando accade questa seconda cosa, ovvero quando si prendono dei soldi dallo stato per erogare delle prestazioni in nome e per conto del Ssn, il meccanismo che si usa oggi in tutta Italia è quello del budget dato a ogni singolo erogatore”.

Insomma, spiega Foresti al Foglio, ogni anno si decide che quell’ospedale prenderà quei soldi per fornire un tot di prestazioni. Badare bene al meccanismo: è una cifra fissa per un certo numero di prestazioni. “Questo è il motivo per cui quando un paziente chiama, per alcune prestazioni, a settembre o a ottobre, i privati convenzionati semplicemente rispondono che le agende si riaprono l’anno successivo: il budget a loro assegnato è finito e bisogna aspettare - spiega Foresti. “Questo fa parte della categoria in cui chi paga è il pubblico e chi eroga è il privato”. Poi ci sono i privati che pagano i privati. “Si tratta di circa 50 miliardi in tutta Italia, che vengono erogati da soggetti privati e pagati da privati. Le assicurazioni rappresentano solo il 15 per cento di questo mondo. La maggioranza sono quelli che pagano con i propri soldi, cash. Si parla di farmaci, occhiali, cure odontoiatriche. Quando parliamo del privato in sanità dobbiamo capire di quale privato stiamo parlando”. In effetti, nelle enunciazioni ideologiche c’è sempre una grande confusione. Il problema riguarda principalmente il privato convenzionato. “Esatto. Ovvero gli erogatori privati che prendono soldi pubblici. Generalmente chi è soggetto a budget arriva ad avere l’anno successivo lo stesso budget dell’anno precedente. Diventa quasi un diritto acquisito. Al punto tale che quando queste imprese si mettono sul mercato e vengono comprate o vendute il budget pubblico è un asset che viene valorizzato. Ma come è possibile, se ogni anno va ridiscusso? – si chiede Foresti – Il problema si aggrava perché se anche l’ente dicesse che vuole azzerare un budget, questo porterebbe a risvolti giudiziari ma soprattutto a una carenza (generale, ndr) di alcuni tipi di prestazioni”. Insomma, il sistema è ingessato. E non se ne esce neppure dicendo, come fa la sinistra pavloviana: tutti i soldi al pubblico. “Il problema è che il privato è assai più efficiente del pubblico. Quindi, anche trasferendo le stesse risorse che abbiamo oggi, non avremmo lo stesso numero di prestazioni”. Un rebus. Con un altro elemento da incastrare: “Attualmente in Regione Lombardia, ma non solo, ci sono prestazioni che sono sottopagate, prestazioni che vengono pagate normalmente e prestazioni che vengono pagate troppo. Ovviamente i privati tendono a erogare le prestazioni pagate troppo, perché ci guadagnano di più”. E come si supera tutto questo? “Un modello, quello emiliano, prevede una programmazione assai più stringente. E poi mette in campo molti controlli. La Lombardia potrebbe fare così. Oppure si potrebbe pensare a qualcosa di diverso”. E qui arriva l’idea disruptive: “Bisogna fare in modo che le prestazioni siano pagate in base ai costi reali. Un metodo che tiene conto delle continue evoluzioni del sistema sanitario è quello dell’asta. L’ente decide di bandire aste su singole prestazioni, con una descrizione molto precisa. Per esempio, per le risonanze magnetiche: si mettono tutte le caratteristiche minime delle macchine, della rivelazione eccetera. Definito questo si chiede agli erogatori chi offre di meno, quindi al ribasso. E i risparmi vengono reinvestiti nel budget. Dunque, si andrebbero ad azzerare le code con un grande risparmio per tutti”.

 

In tutto questo la riforma di Letizia Moratti è un “tentativo di riportare la sanità sui territori. Ma non va a cambiare l’impianto di base”. Opinione condivisa da Pietro Bussolati, consigliere regionale del Pd: “La riforma Moratti non cambia nulla rispetto a una impostazione di oltre 20 anni di debolezza della regia pubblica, di assenza di controlli clinici da parte di Regione, di privazione di ruolo e presenza dei medici di base e di contrasto alle liste di attesa tramite una governance trasparente e efficace. Gli unici passi in avanti previsti sono dovuti al piano Pnrr del governo”. E l’idea di un’asta? “Dialogo con Foresti da anni. Ha il merito di stimolare riflessioni di cambiamento che sono di grande interesse. Su alcune cose non sono d’accordo, su altre molto. Una su cui sono pienamente d’accordo è che il finanziamento alla sanità non deve essere fatto solo su remunerazioni di prestazioni ma sul percorso di salute ricomprendendo quindi prevenzione e riabilitazione. Un’altra è che insieme al budget per privato convenzionato e pubblico, occorre decidere quali agende gli ospedali mettono a disposizione per contrastare le liste di attesa, una scelta che si opera in Emilia-Romagna e non si fa in Lombardia”.

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