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GranMilano

La città degli zanza

Paola Bulbarelli

Ritratto dal “vero” di un bar di periferia a Baggio. Una Milano che fu. Un romanzo

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Non si sa se il bar esista ancora, e nemmeno quale sia. “Non lo direi manco sotto tortura”, dice Tino Adamo, autore di Il bar degli zanza (Unicopli). In effetti non conta individuare il posto, un bar come ce n’è in ogni periferia italiana e non. Ma contano i personaggi, gli “zanza”, appunto, le persone che lo hanno animato e che Adamo ha voluto immortalare nella sua prima opera come scrittore. Illustratore e sceneggiatore, disegnatore e grafico alla Sergio Bonelli Editore, coautore del format “Bonelli kids” e, per Festina Lente Edizioni, del “Bestiario umoristico”, Tino Adamo, per dieci anni, ha lavorato come barista a Baggio, un bar della mala, il bar degli zanza: la parola del gergo della vecchia mala milanese che sta per truffatori, poco di buono, ma anche per quelli che frequentano tutti i vizi ma non eccellono in niente. Dieci anni in trincea, in pratica.

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Non si sa se il bar esista ancora, e nemmeno quale sia. “Non lo direi manco sotto tortura”, dice Tino Adamo, autore di Il bar degli zanza (Unicopli). In effetti non conta individuare il posto, un bar come ce n’è in ogni periferia italiana e non. Ma contano i personaggi, gli “zanza”, appunto, le persone che lo hanno animato e che Adamo ha voluto immortalare nella sua prima opera come scrittore. Illustratore e sceneggiatore, disegnatore e grafico alla Sergio Bonelli Editore, coautore del format “Bonelli kids” e, per Festina Lente Edizioni, del “Bestiario umoristico”, Tino Adamo, per dieci anni, ha lavorato come barista a Baggio, un bar della mala, il bar degli zanza: la parola del gergo della vecchia mala milanese che sta per truffatori, poco di buono, ma anche per quelli che frequentano tutti i vizi ma non eccellono in niente. Dieci anni in trincea, in pratica.

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Non un caso che il libro cominci con un adagio molto popolare, “Vieni a Baggio se hai coraggio”. Baggio da una parte e Quarto Oggiaro dall’altra, quartieri un tempo off limits dove avevi paura che ti rubassero il motorino o ti bruciassero la macchina. “Nonostante quello che poteva succedere era un quartiere di una umanità pazzesca. E’ sempre così, c’è un sacco di brava gente che vive a stretto contatto con chi sbarca il lunario senza lavorare”. Borgo nato più di cinquecento anni fa e annesso alla città nel 1923, è rimasto comunque un mondo a parte. “Gente povera ma onesta e industriosa, i baggesi, qua la malavita non ha mai attecchito. Esisteva il contrabbandiere autodidatta, una minima quantità di malnàtt, qualche Teddy boy. La storia è cambiata negli anni 60 quando dalle campagne del meridione sono sciamati i terroni a vagonate”, scrive Adamo. Che racconta: “Negli anni 70 e 80 la situazione era calda, l’arrivo in massa di gente del meridione e di persone diventate gli operai della Borletti, della Frua. Altri erano sbandatelli e sono diventati i malnati del quartiere”. Gli zanza. Arrivavano al bar. “Li conosco da quando ero bambino, conosco il loro vissuto, so cosa hanno fatto, una manica di perdenti ma pregni di vita. Non volevo lasciarli morire nell’oblio ma dedicare un libro al bar come microcosmo, un bar che si può incontrare in tutte le periferie del mondo”.

 

Sono tanti capitoli e ogni capitolo è un personaggio. “Al bando i fraseggi letterari. Non ci doveva essere un protagonista, in questo mondo-bar tutti erano protagonisti. Nell’arco narrativo di un anno, in ogni capitolo il comprimario di una storia diventa il protagonista di quella successiva”. Le donne? “C’entrano poco perché questi sono ambienti prettamente maschili”. Ogni storia ha un disegno scelto nell’ambientazione del bar, il banco, le carte, i bari, il biliardo, i vecchietti che giocano a chiusura, il barista, perfino una Beretta. C’è pure Toro Seduto e ti chiedi che c’entri mai con Baggio. “Vi faccio una confidenza, il 25 giugno è l’anniversario della battaglia di Little Bighorn e fin da piccolo credevo di essere un indiano. Mio padre mi trascinava a tagliare i capelli, io tornavo a casa con le ciocche in mano disperato, era una cosa brutta per noi indiani, ho voluto metterla nel libro”. Sotto Toro Seduto, però, c’è l’Inter. “Sono i giocatori dell’Inter con in mano la bandiera dato che abbiamo vinto lo scudetto dei record quell’anno. Era il 25 giugno 1989. Non era facile essere interista in quel bar dove il proprietario e la maggior parte della gente che lo frequentava tifava Napoli. Erano gli anni di Maradona e dietro avevo l’altarino di Diego Armando. Era un calcio che mi piaceva quello di allora, oggi troppo spettacolo”.

 

Lo spettacolo, allora, negli anni 80, era proprio il bar. “Mi chiedevano caffè modificati, grappa a sfare, per alcuni era la grappa con un goccio di caffè, la sambuca andava per la maggiore, corretto Fernet, o vino rosso, inscí o la va su o la va giò. E la sera quando, si chiudeva, ci si metteva a fare le partitine di poker o qualche rebelot, o qualche concia: i giochi che andavano per la maggiore. I soldi, all’epoca, avevano precisi nomi a Baggio. Un milione di lire era il palo, il sacco o il chilo, la centomila la gamba, cinquantamila mezza gamba, ventimila il marengo, diecimila il deca, cinquemila lo scudo”. E alla fine scopri Lupo, personaggio triste, appena uscito di galera che arriva al bar con una macchina sfasciata e senza una lira. “Ho iniziato a scrivere pensando a lui, lui è stato l’input. Un libro che è vita vissuta condito con il romanzo. Finzione e realtà. Come nella vita”.

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