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Il Pd prova a fare “hub”, ma Beppe Sala lo dribbla da tutte le parti

Fabio Massa

Il Partito democratico in Lombardia vorrebbe trasformarsi in un tavolo di incontro e mediazione tra tutte le realtà che comporranno la coalizione di centrosinistra a sostegno del sindaco. Lui però fa da solo

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Chi non ha testa abbia gambe, si dice degli smemorati. Tradotto nella politica odierna, dove i leader contano tanto (e forse troppo) e i partiti contano poco (e forse troppo poco), si potrebbe dire che chi non ha idee deve usare le mani per stringere reti. Così, invece delle care vecchie mozioni, piattaforme, dei cari vecchi programmi e ordini del giorno, in Lombardia il Partito democratico vorrebbe trasformarsi in un hub: il padrone di un tavolo di incontro e mediazione tra tutte le realtà che comporranno la coalizione di centrosinistra a sostegno di Beppe Sala sindaco.

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Chi non ha testa abbia gambe, si dice degli smemorati. Tradotto nella politica odierna, dove i leader contano tanto (e forse troppo) e i partiti contano poco (e forse troppo poco), si potrebbe dire che chi non ha idee deve usare le mani per stringere reti. Così, invece delle care vecchie mozioni, piattaforme, dei cari vecchi programmi e ordini del giorno, in Lombardia il Partito democratico vorrebbe trasformarsi in un hub: il padrone di un tavolo di incontro e mediazione tra tutte le realtà che comporranno la coalizione di centrosinistra a sostegno di Beppe Sala sindaco.

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Come far interloquire i verdi nostrani – obbligati da quelli europei – con le correnti dem più convinte degli interventi urbanistici sulla città? E come far interloquire la lista più di sinistra, quella di Limonta & Co, con i renziani e con i calendiani? Roba complicata.

 

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Un ruolo che il Pd sta provando a ritagliarsi, stante il fatto che Beppe Sala è praticamente ovunque, e in maniera autonoma. Lancia persone, crea programmi e strategie, definisce le parole d’ordine anche grazie a una robusta copertura mediatica che prescinde dal Partito democratico. In modo autonomo, perché autonomia e discontinuità sono le parole chiave che il primo cittadino ha scelto, ma che cozzano frontalmente con i concetti alla base dell’esistenza stessa del partito di maggioranza. Che dovrà prima di tutto sminare la questione della lista. Una questione complicata dal fatto che c’è chi vuole a Palazzo Marino Anna Scavuzzo capolista, e già candidata vicesindaco. Una questione non approfondita con gli organi del partito, che in buona misura non hanno affatto apprezzato il suo operato di questi anni. Pare proprio che, secondo i maligni, su Anna Scavuzzo ci sarà il primo braccio di ferro con Beppe Sala. Alla base però c’è una debolezza estrema del partito. Nessuna idea, diviso al suo interno, assediato al suo esterno. Scavuzzo è infatti appartenente a una delle anime dei dem, Base Riformista, che ha lanciato un attacco, con un documento sul modo di fare opposizione alla Regione, sia agli zingarettiani storici (leggasi Majorino), sia agli zingarettiani posteriori (leggasi Bussolati & Co). Majorino ha anche il tema di un sovraffollamento estremo in lista, e il problema della scelta del capobastone: su chi mi peso? Poi c’è l’assedio. Beppe Sala contribuisce non poco a questo: di fatto domina i Verdi, è stato il tessitore dell’accordo con i Radicali, è il regista dell’operazione di Limonta, i quali stanno lavorando con lui per coprire il fianco sinistro. E su tutto c’è il pilastro del suo personale potere: è una figura tanto forte che fa sparire qualunque opposizione interna. L’idea del limite dei due mandati per gli assessori elimina dall’orizzonte anche possibili antagonisti in termini di autorità decisionale. Divisi, assediati, confusi, i dem dunque si rintanano nell’hub, nel ruolo di crocevia, di tessitori di rapporti e di facilitatori. Chi tiene le orecchie incollate ai binari sente che qualche scossa sta per arrivare. Ma del resto, quando stringi mani e crei reti nell’hub Pd, può anche accadere che qualche stretta non sia solo di cortesia.

 

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