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GranMilano

C'era Galtrucco, il paradiso delle signore

Fabiana Giacomotti

Il negozio di Wanda Galtrucco non c'è più, ma ha lasciato un segno nella città della moda e del bello. Un libro a lei dedicato, con introduzione di Daverio

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Quando eravamo ragazzine, Wanda Galtrucco era semplicemente la donna più glamour di Milano. La sua casa conservava porcellane settecentesche di bellezza museale e un manichino antico seduto in poltrona in muta conversazione con gli ospiti che tutte le donne chic della città, dopo qualche turbamento, avevano imitato. Mentre lei diventava, con Barbara Vitti Volpi, l’antesignana delle pr, affiancando nell’ascesa Gianni Versace a cui aveva insegnato l’uso di mondo, il negozio della famiglia di suo marito in piazza del Duomo era ancora il paradiso delle signore dove si compravano i tessuti di grande qualità, morbidi o croccanti, che ci avrebbero accompagnati a scuola o alle prime festicciole eleganti.

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Quando eravamo ragazzine, Wanda Galtrucco era semplicemente la donna più glamour di Milano. La sua casa conservava porcellane settecentesche di bellezza museale e un manichino antico seduto in poltrona in muta conversazione con gli ospiti che tutte le donne chic della città, dopo qualche turbamento, avevano imitato. Mentre lei diventava, con Barbara Vitti Volpi, l’antesignana delle pr, affiancando nell’ascesa Gianni Versace a cui aveva insegnato l’uso di mondo, il negozio della famiglia di suo marito in piazza del Duomo era ancora il paradiso delle signore dove si compravano i tessuti di grande qualità, morbidi o croccanti, che ci avrebbero accompagnati a scuola o alle prime festicciole eleganti.

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Nel salone sotterraneo si acquistavano anche certe speciali calze lunghe di filo di Scozia per il babbo, che voleva arrivassero solo da lì, insieme con il popeline di cotone e il seersucker americano per le camicie. Si varcava la soglia un po’ intimiditi dal raffinato rigore di tutto quel travertino, quei legni pregiati e quei pannelli di ceramica che, come avremmo scoperto decenni più tardi, occupandoci del centenario di Motta e della storia della piazza, erano stati progettati anche loro da Guglielmo Ulrich e da Melchiorre Bega, l’autore della Torre Galfa e di una serie importante di costruzioni e di oggetti di design che, non fosse per l’abitudine comune di adagiarsi nelle certezze, godrebbe dello stesso successo popolare di Gio Ponti.

 

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Gli rende giustizia il bellissimo volume “Galtrucco”, edito da Rizzoli e curato da Enrico Mannucci in occasione dei centocinquant’anni dalla fondazione, di cui vanno rifornendosi le librerie in questi giorni, in vista di un Natale che mai sarà sentito come quest’anno e di cui questo testo, molto illustrato ma con una scintillante introduzione di Philippe Daverio, forse l’ultimo testo scritto prima della scomparsa, esprime la nostalgia e la meraviglia. La Galtrucco del commercio al minuto non esiste più, dall’inizio del secolo è una immobiliare in tutte le città dove un tempo aveva grandi vetrine, da Roma a Genova a Milano.

 

Delle origini resta traccia solo nel Salone dei tessuti di via san Gregorio, in una palazzina neogotica che fu la prima showroom milanese della famiglia e che adesso viene richiesta da stilisti raffinati e società per eventi; la brillantissima Wanda Galtrucco è morta cinque anni fa, il 6 dicembre 2015, nello stesso giorno in cui è venuta a mancare Krizia. Il pret-à-porter che Galtrucco aveva contribuito a sviluppare fra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, affiancando le riviste di moda e in particolare Vogue nei celebri “groupage”, le gallerie di immagini redazionali finanziate dai tessutai per promuovere le attività dei giovani stilisti, ha quasi azzerato l’acquisto di tessuti da parte dei privati.

 

Già negli anni Ottanta, dopo il disastroso incendio del 1973 e il progressivo degrado dei portici meridionali di piazza Duomo, Galtrucco aveva concentrato le attività in via Montenapoleone, nelle vetrine che tuttora possiede ma che sono occupate da Loro Piana. Ma quella di Lorenzo Galtrucco è una di quelle storie che, appunto, scalda il cuore leggere. La sua parabola assomiglia a quella di Angelo Motta e, in misura ancora più drammatica, di Leonardo Del Vecchio qualche decennio dopo.

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Tutti giovani poverissimi, garzoni di panetteria giunti in città senza un soldo, venditori ambulanti malmenati, orfani, che diventano ricchi e famosi grazie al proprio impegno e a quella che adesso si definisce la “visione”. Fra le righe dei documenti che ne testimoniano l’ascesa e la strategia lucida della moglie Luigia e dei figli che prendono le redini dell’azienda ancor prima della Grande Guerra, fra le molte e straordinarie riproduzioni anastatiche delle tirelle dei tessuti si legge quello che Daverio definisce “un rapporto formale nei colori e nelle trame con l’evoluzione delle arti visive”. Il successo non è mai disgiunto dalla comprensione dello spirito del momento.

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