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Gran Milano

Citofonare Pronto soccorso. Perché la situazione è così grave

Quel che preoccupa la Lombardia è la parola lockdown, ciò che preoccupa i cittadini lombardi è la tenuta del sistema sanitario

Maurizio Crippa

La situazione è diversa (non certo meno grave) rispetto alla primavera perché i malati arrivano prima, e di più. Quel che accade nei Pronto soccorso, e quel che dicono i loro operatori, è la chiave della crisi. Elementi per comprendere perché si è generata

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Ieri in Lombardia si sono registrati 7.558 nuovi casi di Covid, con 47 morti. In terapia intensiva sono entrati 21 nuovi pazienti, 357 nelle sub-intensive. La curva dei contagi è esponenziale, quel che preoccupa non sono, oggi, le terapie intensive in sé (ma saranno il problema tra sette-dieci giorni, dicono i medici) quanto il resto della situazione. A partire dai Pronto soccorso, intasati o “al limite del collasso”.

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Ieri in Lombardia si sono registrati 7.558 nuovi casi di Covid, con 47 morti. In terapia intensiva sono entrati 21 nuovi pazienti, 357 nelle sub-intensive. La curva dei contagi è esponenziale, quel che preoccupa non sono, oggi, le terapie intensive in sé (ma saranno il problema tra sette-dieci giorni, dicono i medici) quanto il resto della situazione. A partire dai Pronto soccorso, intasati o “al limite del collasso”.

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Quel che preoccupa la Lombardia è la parola lockdown, ciò che preoccupa i cittadini lombardi è la tenuta del sistema sanitario, la possibilità di cura. Sembra di essere tornati alla situazione della primavera scorsa, comprese le polemiche, compreso il sindaco Beppe Sala che chiede al ministro della Salute Roberto Speranza: “Vogliamo sapere se (l’idea del lockdown, ndr) è basata su dati e informazioni che noi non abbiamo”.

  

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Dati certi non è in grado di fornirne con chiarezza nemmeno la Regione, e questo è un punto. La situazione, però, non è esattamente la stessa di marzo e aprile: è diversamente grave. Perché allora si intasarono subito le terapie intensive (i malati arrivano o venivano segnalati già gravissimi) e i Pronto soccorso si trasformarono in tragiche sale d’attesa. Oggi, il “canale di flusso” verso i ricoveri avrebbe dovuto essere più preparato, ma non è così. C’è un motivo oggettivo: i contagi sono maggiori che in marzo, soprattutto nella città di Milano, e in Brianza. Nei Pronto soccorso di grandi ospedali milanesi come il San Paolo o il San Carlo ieri già dal mattino erano decine in pazienti a rischio di non poter essere ricoverati entro le 24 ore, espressioni come “situazione esplosiva” girano nelle chat di medici e infermieri. 

 

Da qui l’allarme lanciato martedì da Guido Bertolini, responsabile del Coordinamento Covid-19: “La situazione nei Pronto soccorso è drammatica, non solo in Lombardia, ma ovunque a livello nazionale. Le misure prese dal governo sono troppo blande. Non servono a contenere il fenomeno mostruoso che abbiamo di fronte”, e l’idea che ha destabilizzato la politica, e la psicologia dei cittadini: “L’unica cosa che si può fare è chiudere tutto, un lockdown a livello nazionale. La situazione nei Pronto soccorso è drammatica, non solo in Lombardia”.

 

Quel che accade nei Pronto soccorso, e quel che dicono i loro operatori, è la chiave della crisi, in queste ore. La situazione è diversa (non certo meno grave) rispetto alla primavera perché i malati arrivano prima, e di più. Ci sono però almeno altri tre elementi per comprendere perché si è generata. Una, spiegano gli esperti della gestione sanitaria, è che i tempi di reazione dei Pronto soccorso e ospedali milanesi sono rimasti troppo lenti, quelli delle situazioni standard tra l’arrivo in triage e la destinazione di ricovero: doveva essere tutto pronto prima, non attendere il picco.

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Un altro aspetto è che aumenta la quantità di persone da ricoverare, o che si presentano per essere ricoverate, anche se non tutte ne hanno la stretta necessità. Ma poiché i casi di contagio salgono, sale il numero di pazienti senza la possibilità di auto-isolarsi in luoghi diversi. Dunque vanno ricoverati nei reparti, anche non intensivi. Questo apre l’ultimo problema, ancor meno risolvibile in breve: la possibilità di curare i malati da parte dei medici territoriali, di base, tenendoli sotto controllo a casa. I medici di famiglia continuano a combattere a mani nude, come mesi fa. Ribaltare la situazione richiede tempo e risorse. E ora c’è l’emergenza, e soltanto quella.

 

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