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“Tutto ciò che è Lombardia”. Come difendere, e fare, cultura

Maurizio Crippa

Parla l’assessore regionale Stefano Bruno Galli. La crisi, i soldi spesi e che arriveranno e una visione non Milanocentrica

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"Lombardia è tutto ciò che non è Milano”, dice subito come per lucidare un concetto, più che per marcare un territorio. Una di quelle affermazioni che farebbero rizzare sulla sedia tutti i milanesi intellò, la maggior parte per professioni di zona Ztl, perché la sacrale centralità di Milano nella cultura – con la sua Scala, il Piccolo, le case editrici – non si tocca. Lo sa bene anche Stefano Bruno Galli, il “professore” della Lega, assessore alla Cultura e alle Autonomie nella giunta di Attilio Fontana. Professore di Storia delle dottrine politiche, cultore della storia dell’autonomismo da Carlo Cattaneo in giù, autore ai tempi di Roberto Maroni del disegno di legge sull’autonomia differenziata che portò al (vittorioso) referendum del 2017. Solo che Stefano Bruno Galli, perché è autonomista, perché è leghista o forse perché conosce la storia della Lombardia, sa che la regione locomotiva “non è” soltanto Milano: è una terra plurale, policentrica, in cui ognuna delle molte città ha una storia e una cultura particolare (che non è solo archeologia e monumenti) e un legame con il suo territorio vivo, e da far vivere.

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"Lombardia è tutto ciò che non è Milano”, dice subito come per lucidare un concetto, più che per marcare un territorio. Una di quelle affermazioni che farebbero rizzare sulla sedia tutti i milanesi intellò, la maggior parte per professioni di zona Ztl, perché la sacrale centralità di Milano nella cultura – con la sua Scala, il Piccolo, le case editrici – non si tocca. Lo sa bene anche Stefano Bruno Galli, il “professore” della Lega, assessore alla Cultura e alle Autonomie nella giunta di Attilio Fontana. Professore di Storia delle dottrine politiche, cultore della storia dell’autonomismo da Carlo Cattaneo in giù, autore ai tempi di Roberto Maroni del disegno di legge sull’autonomia differenziata che portò al (vittorioso) referendum del 2017. Solo che Stefano Bruno Galli, perché è autonomista, perché è leghista o forse perché conosce la storia della Lombardia, sa che la regione locomotiva “non è” soltanto Milano: è una terra plurale, policentrica, in cui ognuna delle molte città ha una storia e una cultura particolare (che non è solo archeologia e monumenti) e un legame con il suo territorio vivo, e da far vivere.

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Così che quando, messi da parte i libri di storia lombarda che ha fatto pubblicare – tra cui l’altrimenti quasi introvabile Notizie naturali e civili sulla Lombardia di Cattaneo – e i ragionamenti su a che punto è l’autonomia, Galli sa bene quello che dice e ha molte ragioni. Di quelle che chi guarda solo i grattacieli non vede: “Lombardia è tutto ciò che non è Milano”. Perché la Lombardia, spiega l’assessore, significa quasi 600 musei, oltre 500 tra teatri e cinema, fondazioni e archivi, biblioteche e biblioteche storiche e undici siti dell’Unesco”. Tutti in crisi ora, travolti dallo tsunami del Covid e del lockdown? “Tutti in grande sofferenza, certo. E anche una percentuale alta di istituzioni che potrebbero non farcela: teatri e cinema e piccole istituzioni, soprattutto. Anche a Milano città”. Cosa ha fatto, cosa deve fare, l’assessore alla Cultura? “Cultura e Autonomia – risponde – perché non sono separati, per me. Sto provando a fare il necessario per sostenere tutto il settore, evitare il tracollo, pagando anche le bollette e i costi vivi durante il lockdown. Ma con una visione precisa: se chiude un teatro a Milano è grave, chiaro, e cerchiamo di evitarlo. La regione è nel cda e tra i grandi contributori della Scala, del Piccolo e di altre realtà. Ma se chiude un teatro o un piccolo museo della provincia di Brescia, o di Lodi, che molto spesso ha una storia, è grave uguale, muore un pezzo di territorio, di cultura, un presidio civile che non ha le spalle altrettanto grosse delle grandi istituzioni”.

 

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Spesso ci si limita a parlare delle eccellenze o dei guai di Milano, no? “E’ un errore, chi conosce i nostri territori sa quale sia la loro ricchezza, non solo economica”. Dunque quali sono le cose fatte e le priorità, a parte le contribuzioni già in atto? “Il bando ‘R-esistiamo insieme’ un milione e 800 mila euro ai soggetti privati che gestiscono cinema, sale da spettacolo, musei e raccolte museali a parziale copertura delle mancate entrate. Il bando ‘Ri-vivi Lombardia’, altri 700 mila euro a soggetti privati per la realizzazione di iniziative, eventi e manifestazioni culturali all’aperto nei luoghi della cultura, o di valore storico. Più altri fondi per le ristrutturazioni a cinema e teatri: due milioni e 400 mila euro per finanziare progetti di adeguamento strutturale e tecnologico. Due milioni e mezzo sono stati messi per le imprese culturali e creative, che essendo imprese hanno meno difficoltà oggettive di un museo che non stacca biglietti, ma sono in sofferenza, ma in Lombardia incubano 23 miliardi di fatturati, con 365 mila operatori. Un settore che nel 2019 aveva realizzato un più 6,7 per cento di fatturato e un più 6,3 per cento di occupati. Quando dico che la cultura è tutto quello che esiste e resiste, in Lombardia, parlo di questo”.

 

Poi, adesso, la situazione che è tornata grave, a rischio lockdown: la sfida è il 2021. “Ad esempio un nuovo bando ‘Innova musei’, perché molti dei nostri musei soprattutto piccoli non hanno ad esempio un sistema di prenotazione online, oggi fondamentale. Abbiamo provveduto centralizzando il sistema di prenotazioni attraverso la Card Cultura della regione, ma è evidente che serve in più. Ad esempio: come fare con il turismo?”. Altro tasto dolente: il crollo è stato verticale, e rischia di essere lungo. “Sì, ma c’è una cosa da capire. Il 50 per cento dei turisti in regione nel 2019 venivano per l’offerta culturale. Oggi dobbiamo trovare il modo per attirare i turisti lombardi, o delle regioni vicine – perché questo è lo scenario realistico – a visitare luoghi nuovi o ri-visitare luoghi che spesso già conoscono. Ma per convincere un comasco a tornare al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, faccio un esempio, ci vuole che l’offerta sia nuova, adeguata. Bisogna innovare, investire. Anche perché la mano pubblica non può sostenere da sola i costi di un quasi lockdown. Questa è una cosa che spesso si dimentica. Un esempio che mi è caro è il Vittoriale di Gardone, dove abbiamo realizzato un magnifico anfiteatro all’aperto e c’è un parco visitabile. In questi anni è cresciuto moltissimo per visitatori e anche ora, come tanti altri parchi, ville, o il sito Unesco delle sculture rupestri in Val Camonica, sono i luoghi più sicuri per una visita”. La valorizzazione di questi luoghi (i siti difensivi sulle montagne lombarde nella Grande guerra sono una sua passione) è un obiettivo secondo Galli strategico.

 

Serve anche il contributo dei privati, che in Lombardia c’è e si vede. “Le offro un dato, che spiega tantissimo. Su 209 milioni di investito pubblico in cultura nella regione (ministero, regione, comuni eccetera) il 51 per cento viene dalle erogazioni liberali dell’Art bonus, che i donatori indirizzano a progetti specifici. Nel 2018 in Lombardia sono ‘tornati’ 105 milioni. In Piemonte, seconda regione, 38 milioni. Questa è la Lombardia. Questa è la generosità dei suoi imprenditori, perché i grandi numeri vengono ovviamente da loro. Ed è il motivo per cui pubblico e privato devono lavorare insieme. E qui si fa. Ed è il motivo per cui quando dico che questi grandi donatori, assieme alle fondazioni eccetera, sono ‘i miei azionisti di riferimento’, dico una cosa ovvia: è con loro che dobbiamo lavorare, progettare, fare”. Resistere.

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