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GranMilano

La Lega fa i conti al suo interno

Fabio Massa

Tra inchieste, anime diverse e sfide elettorali. Ma dire in crisi il partito di Salvini è azzardato

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Parrebbe un momento difficile, con i nuvoloni neri pronti a buttar giù pioggia. Eppure, dalle parti di via Bellerio le bocche si allargano in grandi sorrisi. C’è un’aria rilassata, alla vigilia del voto per le regionali, per il referendum e pure, termometro no trascurabile, per un’ottantina di comuni lombardi. Matteo Salvini e i suoi confidano nella vittoria. Quattro a due. Anzi, cinque a uno, secondo i più ottimisti solo la Campania è perduta. Ma, appunto, sono molto ottimisti. Che avranno mai da sorridere? Nelle nubi del cielo – anche a tralasciare le apparizioni da incubo notturno di Giorgia Meloni, il vero inconfessabile e temuto competitor del Capitano – c’è l’inchiesta sui commercialisti, che è una cosa seria, nel suo impianto e nelle sue ramificazioni, più di altre che ronzano sul partito: quantomeno perché coinvolge persone riconducibili allo stretto giro salviniano, perché c’è di mezzo la Film Commission che è della Regione, e perché la struttura dell’indagine sembra quella delle scatole cinesi. Anche se poi, come purtroppo ben sappiamo, la montagna delle scatole cinesi giudiziarie sulla politica spesso crolla da sola: vedi, cambiando zona politica, il caso Renzi-Open.

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Parrebbe un momento difficile, con i nuvoloni neri pronti a buttar giù pioggia. Eppure, dalle parti di via Bellerio le bocche si allargano in grandi sorrisi. C’è un’aria rilassata, alla vigilia del voto per le regionali, per il referendum e pure, termometro no trascurabile, per un’ottantina di comuni lombardi. Matteo Salvini e i suoi confidano nella vittoria. Quattro a due. Anzi, cinque a uno, secondo i più ottimisti solo la Campania è perduta. Ma, appunto, sono molto ottimisti. Che avranno mai da sorridere? Nelle nubi del cielo – anche a tralasciare le apparizioni da incubo notturno di Giorgia Meloni, il vero inconfessabile e temuto competitor del Capitano – c’è l’inchiesta sui commercialisti, che è una cosa seria, nel suo impianto e nelle sue ramificazioni, più di altre che ronzano sul partito: quantomeno perché coinvolge persone riconducibili allo stretto giro salviniano, perché c’è di mezzo la Film Commission che è della Regione, e perché la struttura dell’indagine sembra quella delle scatole cinesi. Anche se poi, come purtroppo ben sappiamo, la montagna delle scatole cinesi giudiziarie sulla politica spesso crolla da sola: vedi, cambiando zona politica, il caso Renzi-Open.

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E infatti, per il momento, a guardare i sondaggi riservati, il fermento dei pm non sposta mezzo voto. Ma è un nuovo fronte giudiziario, col suo day-by-day sui giornali. Dopo quello dei 49 milioni (a cui promette di ricollegarsi, secondo alcuni), dopo quello di Savoini e del Russiagate (a proposito, è passato un anno e mezzo: aggiornamenti?), dopo i camici del Covid (a proposito, davvero si stralcia la posizione di Fontana?) ecco la questione dei commercialisti, che per alcuni pasionari, guarda un po’, è un complotto. Leggere le carte è comunque impressionante, ma chissà. E poi – si fa notare dal Carroccio – com’è che questi commercialisti risultano legati tutti solo alla Lega quando erano nel collegio sindacale di varie partecipate anche del Comune di Milano? Piccoli veleni, che non cambiano la partita generale. E così, a vederla da fuori, la situazione della Lega pare un po’ compromessa, tra inchieste, raffronti tra la Lombardia e il Veneto, e pure i distinguo sul referendum, tutti da decifrare. Giancarlo Giorgetti, ancora una volta dopo i lunghi silenzi dei mesi scorsi, si è posizionato per conto suo, seguito da Attilio Fontana. Ufficialmente la Lega vota Sì, Giorgetti però voterà No. La solita questione (o speculazione giornalistica?) della Lega divisa in due, la guerra tra governisti e movimentisti, tra chi pensa all’economia e chi al consenso grazie ai barconi. Semplificazioni. Perché la verità, pare evidente, è che moltissimi leghisti, e non solo il Giorgetti e Fontana, voteranno No. E le dichiarazioni di voto fioccano, nonostante Salvini abbia ordinato di non farne più. Dentro la Lega tutti (Maroni a parte, lui voterà Sì, ma con distinguo) pensano che così com’è il taglio dei parlamentari è un disastro. E dunque Giorgetti non ha fatto altro che esprimere un concetto condiviso con lo stesso Matteo Salvini. Concetto ribadito da Attilio Fontana, che – sembra passato un secolo – prima del Covid era stato incoronato da Salvini durante un appuntamento ad hoc come volto moderato per rappresentare la Lega di governo dei territori. Ora è tutto un niet.

 

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E Salvini? Non si ingrugna, anche se gli tocca di fare il coerente. Lui dice e ripete che voterà Sì. Del resto, spiega, ha già votato Sì quattro volte, e la quinta viene di conseguenza. Poi, i sondaggi che prevedono larghissime maggioranze per il Sì (altro che rimonta del No, dicono a via Bellerio), aiutano il Capitano nella sua posizione: hic manebimus optime. Anche perché sul domani c’è la certezza assoluta che quando vincerà il Sì Luigi Di Maio canterà vittoria. E Salvini di certo non vuol lasciargli la piazza. Così, lasciando libera scelta, e attraverso le prime linee – da una parte soddisfa il partito di establishment, che vede in questa riforma un disastro e in caso di No potrà dire: noi c’eravamo. Dall’altra con il proprio voto personale potrà reclamare parte della vittoria, un buon viatico a ridosso del secondo turno delle amministrative e, soprattutto, del processo di Catania che inizia a ottobre. Sì, il momento della Lega è quantomeno turbolento, ma sarebbe un errore non considerare la coesione di partito e della base (tanto più sotto gli schiaffi giudiziari) e il fatto che, Veneto a parte, in Lombardia la forza della Lega è centrale, e continua a fare da calamita per i transfughi in rotta da Forza Italia. Ora il punto è ottimizzare l’autunno, e permettere poi che un Salvini rinsaldato arrivi a Milano e a Torino, per capire che cosa fare con le amministrative, fare il casting dei candidati, scegliere i nomi da proporre a Berlusconi e Meloni, che hanno la loro voce, non flebile, in capitolo. E poi provare a riaprire la questione settentrionale. Del resto anche Salvini l’ha capito: non si vota per le politiche, e nel 2021 le sfide vere stanno tutte a nord del Po.

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