Un rapporto dei tecnici di Putin spiega a Salvini come le sanzioni colpiscono la Russia

Luciano Capone

"Le sanzioni fanno bene a Mosca e male a noi" dice il leader della Lega, ma Peskov offre uno scambio tra rimozione delle sanzioni e gas all'Europa. Intanto in un rapporto interno, i russi ammettono il forte impatto negativo: ci vorranno 10 anni per recuperare il pil perduto

Salvini e Putin sulle sanzioni al pensano allo stesso modo, ma apparentemente per motivi opposti. Il leader della Lega ha affermato a Cernobbio le sanzioni europee “non stanno facendo male alla Russia, che sta guadagnando centinaia di migliaia di miliardi in più. Stanno facendo male alle nostre imprese e alle nostre famiglie, per cui è evidente che ci sia qualcosa da ripensare”. Mentre il Cremlino ha mandato un pizzino all’Europa dicendo che il blocco del gasdotto Nord Stream continuerà finché non verranno tolte o attenuate le sanzioni: “Sono proprio le sanzioni che impediscono la manutenzione delle unità – ha detto il portavoce di Putin Dmitri Peskov –. Sono queste sanzioni che gli stati occidentali hanno imposto che hanno portato la situazione a quello che stiamo vedendo ora”. È la prima volta che in maniera così esplicita la Russia, dopo aver tentato di piegare l’Europa tagliando il flusso di gas, chiede uno scambio tra rimozione delle sanzioni e ripartenza delle forniture di metano. E questo, ovviamente, non perché le sanzioni  stiano avvantaggiando  Mosca, ma per la ragione opposta.


Ieri, mentre Peskov invitava il suo messaggio trattativista all’occidente, Bloomberg pubblicava un rapporto riservato del governo russo, preparato per unauna riunione a porte chiuse del 30 agosto di alti funzionari del regime, che tratteggia un quadro tutt’altro che roseo: la Russia potrebbe affrontare una recessione più lunga e più profonda man mano che l’impatto delle sanzioni statunitensi ed europee si intensiifica e si diffonde nei settori dell’economia dipendenti dall’estero. Il report, frutto del lavoro di mesi di esperti ed economisti, è più pessimista delle dichiarazioni pubbliche e dei dati ufficiali del governo, che di per sé non sono eccezionali. Due scenari differiscono in maniera sostanziale dall’obiettivo del Cremlino di una caduta del pil in due anni di soli 3,8 punti dai livelli del 2021. Secondo lo scenario “inerziale” l’economia russa arriverà l’anno prossimo, nel 2023, l’8,3% sotto al livello del 2021, mentre nello scenario più negativo il crolo del pil non solo sarà del’11%nel 2023 ma si prolungherà nel 2024 fino a scendere all’11,9% sotto il livello del 2021.

 

Alla base delle previsioni ci sono il mantenimento e l’intensificazione delle sanzioni, con un progressivo distacco della dipendenza energetica che potrebbe incidere sulla capacità della Russia di riformare e ristrutturare la propria economia. Secondo il rapporto, un taglio completo del gas verso l’Europa, il principale mercato di esportazione della Russia, potrebbe costare fino a 6,6 miliardi di dollari all’anno di entrate fiscali perse. E non è possibile per Mosca riorientare le esportazioni verso i mercati asiatici anche nel medio termine per la mancanza di infrastrutture (gasdotti). Analogamente per il petrolio, benché sia più semplice dirottare via nave le forniture in Asia, è difficile che India e Cina possano assorbire tutti i prodotti che prima erano diretti all’Europa – che rappresentava circa il 55% dell’export petrolifero russo – con la conseguenza di una riduzione della produzione. Sul fronte delle importazioni, i danni sono più forti e strutturali. Ci sono interi settori, dall’agricoltura all’industria, che dipendono dagli input occidentali che sono difficili da sostituire, soprattutto per i componenti tecnologici (aviazione, automotive, farmaceutica, macchinari, comunicazione e It...). La conseguenza è una caduta del pil potenziale, che rallenta la crescita e che significherebbe per la Russia impiegare 8-10 anni per recuperare il terreno perduto.

 

È vero che il consensus internazionale prevedeva una recessione più profonda, anche in doppia cifra, ma la caduta in parte si è spostata in avanti di qualche mese spalmando parte degli effetti sul 2023. Anche se Putin è riuscito a contenere i danni delle sanzioni, bisogna considerare che nel 2021 la Russia è cresciuta del 4,8% e prima della guerra il pil del 2022 era atteso a +5%. Ora, secondo le proiezioni riviste sia dal Fmi sia dalla Banca centrale russa, si prevede per il 2022 una (de)crescita tra -4 e -6%. Si tratta di un effetto, tutto dovuto alle sanzioni, e nonostante l’esplosione dei prezzi di petrolio e gas, di 9-11 punti di pil. Un crollo di intensità pari o superiore alla grande recessione globale del 2009.


Se le sanzioni facessero così bene alla Russia come pensa Salvini, Putin non chiederebbe di rimuoverle in cambio della riattivazione delle forniture di gas: si godrebbe contemporaneamente il collasso economico dell’Europa e i profitti delle sanzioni. Evidentemente non è così. Se Salvini non si fida di ciò che dicono Mario Draghi e i burocrati di Bruxelles, non dovrebbe avere difficoltà a credere in ciò che dicono i tecnici del Cremlino.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali