Mario Draghi e il grande “ricatto” spiegato da un banchiere italiano: o molla le banche e il debito della Repubblica al suo destino, o non fa nessun passo avanti l’unione bancaria

L'assedio di Draghi

Stefano Cingolani
S’avanzano contro di lui i banchieri tedeschi: il denaro a basso costo ci porta al fallimento. Prime critiche dal Financial Times. Ma il governatore della Bce si sente ancora forte. Una pressione fortissima, tanto che circola persino il nome del successore: il candidato ideale è il governatore della Banca d’Olanda.

Il ricatto è pesante e potrebbe far saltare l’intero sistema, non solo quello italiano. Una pressione fortissima viene dalla Germania, soprattutto dal complesso bancario-assicurativo tedesco che ha potere di influenza sulla Cancelleria. Non so quanto l’opinione pubblica lo abbia capito, ma per noi rappresenta un rischio terribile e molto concreto: un cap ai titoli di stato nelle banche innesca una reazione a catena. E rischia di rimettere in discussione lo stesso Mario Draghi, lui, la sua leadership, il suo posto, non solo la sua politica. Tanto che circola persino il nome del successore”. Il banchiere italiano parla a voce bassa e lenta, consapevole di quanto sia grave quel che dice. Passa i suoi giorni volando tra Milano, Londra e Francoforte, ascolta, guarda, discute, si fa un’idea di quel che sta bollendo nel pentolone smarmittato di questa Europa in via di accelerata disintegrazione. Il limite al possesso di debiti sovrani (fino a un quarto del capitale) è una proposta che viene dalla Bundesbank e riguarda tutti gli istituti di credito, ma naturalmente l’impatto maggiore si avrebbe su quelli italiani zeppi di buoni del tesoro (455 miliardi di euro, comprati per sostenere il paese, tanto che nel 2011 erano 180). Il “ricatto” consiste in questo: o Draghi molla le banche e il debito della Repubblica al suo destino o non fa nessun passo avanti l’unione bancaria che, oggi come oggi, diventa una trappola, priva di un meccanismo comune per affrontare le crisi e di un’assicurazione comune sui depositi. Germania, Finlandia e Svezia hanno presentato il tetto ai ministri economici dell’Unione europea, ma è stata stoppata. Per il momento, perché i tedeschi non mollano.

 

Lo scontento nei confronti dell’italiano al comando della Bce ha raggiunto in Germania un livello parossistico. “Non c’è un solo cervello a Francoforte che decide tutto”, ha replicato Draghi giovedì scorso in conferenza stampa. Ma ogni giorno salta fuori un casus belli, persino l’abolizione delle banconote da 500 euro, “un attacco alla libertà privata”, secondo i giornali. Ormai non si tratta più solo delle solite stoccate a mezzo stampa. Il nostro interlocutore invita a leggere quel che dicono i suoi colleghi, i banchieri più importanti e i grandi boss delle assicurazioni. Il presidente di Allianz, Oliver Bäte, ha dichiarato all’autorevole settimanale Der Spiegel che “la Bce sta svalutando il denaro dei risparmiatori”. Nikolaus von Bomhard capo di Munich Re ha lanciato un attacco che lo stesso giornale ha definito “selvaggio” contro la Bce, la quale “sta creando una bolla con un rialzo dei prezzi delle case e delle azioni a beneficio dei più ricchi. Non è più possibile tacere, i tedeschi non sono stupidi”, ha tuonato. Georg Fahrenschon, presidente dell’associazione bancaria, tocca corde sensibili: “Continuando così non pagheremo le pensioni e i tedeschi dovranno lavorare fino a 70 anni e oltre”.

 

Il fuoco covava sotto le polveri, ma lo spettro della helicopter money ha acceso la miccia. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, è saltato sulla sedia sentendo che il presidente della Bce ha definito, sia pur con il suo solito filo di ironia, “un concetto molto interessante” gettare denaro dall’elicottero per stimolare la domanda e stimolare la crescita. “Un’idea che deve tornare nel cassetto accademico”, ha risposto Weidmann al Foglio. La trovata venne in mente a Milton Friedman, è stata rilanciata da Ben Bernanke, ex presidente della Federal Reserve e si riferiva alla grande depressione degli anni Trenta. A mali estremi, estremi rimedi, se le banche sono paralizzate e sono bloccati i canali tradizionali attraverso cui la moneta passa alle tasche dei cittadini, non resta che distribuire direttamente il denaro. Quando scoppia l’incendio, del resto, i pompieri fanno cadere l’acqua dal cielo.

 


Jens Weidmann, presidente della Bundesbank (foto LaPresse)


 

Buttare al vento i nostri denari? Che altro si deve sentire da un italiano? Abbiamo messo nelle sue mani i nostri sudati risparmi e lui li sta distruggendo: ha portato i tassi d’interesse sotto zero, le banche non riescono a remunerare i depositi vincolati, le assicurazioni non garantiscono più le polizze vita e che fine faranno i fondi pensione? I frutti del lavoro tedesco dissolti a quale scopo, aiutare l’Italia o, peggio ancora, la Grecia? E’ la vox populi che la stampa raccoglie e rilancia. E nel mondo politico tedesco matura una tentazione davvero traumatica, come ha scritto Der Spiegel: “Fonti del ministero delle Finanze sostengono che Berlino dovrebbe prendere in considerazione di portare la Bce davanti alla corte, per chiarire i limiti del suo mandato. In altre parole, Draghi e il governo tedesco diventerebbero avversari in processo. Una tale battaglia legale, sarebbe la prima nella storia e potrebbe condurre a una crisi istituzionale di gravità senza precedenti o a turbolenze monetarie”. Altro che Brexit, sarebbe il Germanexit. Anche per questo è poco probabile che i duellanti si spingano fino a tal punto. Tuttavia, le accuse di Wolfgang Schäuble, vanno prese molto sul serio.

 

Il ministro delle Finanze è giunto a sostenere che Draghi ha fomentato la crescita dell’estrema destra e di Alternative für Deutschland, il partito anti euro e anti immigrati. Il consumato leader della Cdu ha ascoltato le grida di dolore che salgono dal suo partito. Anche Michael Fuchs, consigliere economico di Volker Kauder, capogruppo della Cdu e uno dei più stretti alleati della Merkel, ha evocato lo spettro dell’estrema destra. Ralph Brinkhaus, vice capo gruppo al Bundestag, sostiene apertamente che bisogna spingere la Bce a giustificare le sue politiche. Wolfgang Münchau ha scritto sul Financial Times che “Schäuble ha ragione quando dice che i bassi tassi d’interesse conducono i votanti verso AfD. Solo che non è colpa della Bce. La AfD comprende per lo più tedeschi ricchi e anziani che vogliono uscire dall’euro perché credono di trarre altri benefici da tassi di cambio migliori e interessi più elevati. Ma si sbagliano”. Eppure, persino Angela Merkel che ha sostenuto Draghi nei momenti difficili, quando ha promesso di fare “tutto quel che è necessario” per salvare l’euro, si è lasciata andare a serie preoccupazioni sull’effetto che la moneta facile sta provocando sulle casse di risparmio e le banche regionali, le Landesbanken, per non parlare delle compagnie di assicurazioni. La Kanzlerin ha chiamato più volte al telefono il presidente della Bce per spiegargli le ansie dei tedeschi.

 

Una levata di scudi tanto ampia da forze così potenti ha allarmato anche la Bundesbank. Tanto che Weidmann, critico da sempre nei confronti delle “misure non convenzionali” come il quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli sul mercato, è sceso in campo per difendere l’indipendenza della Banca centrale. Benoit Coeuré, il membro francese del direttorio della Bce, che ha sempre spalleggiato Draghi, cerca di mediare e sottolinea che bisogna ascoltare il malessere della Germania e in ogni caso il dialogo con i politici e i cittadini è sempre benvenuto. Draghi, che non perde occasione di intervenire al Bundestag o davanti agli industriali e agli economisti tedeschi, è convinto di essere nel giusto, si rende conto che non c’è solo un conflitto culturale o personale, ma sono in ballo interessi divergenti, tuttavia il suo compito è tener conto di tutta la zona euro e lo ha detto apertamente, rispondendo a Schäuble. La Germania è il paese che più ha tratto vantaggio dall’euro (anche per sua indubbia capacità, oltre che per le condizioni generali e le asimmetrie che si sono create), cresce, ha un avanzo estero enorme, registra un bilancio pubblico in attivo anche per la riduzione della spesa per interessi (il debito pubblico supera i duemila miliardi di euro, viene considerato solido e in genere paga interessi bassi, ma grazie alla politica di Draghi il governo ha risparmiato 15 miliardi lo scorso anno).

 

Non solo, la moneta a buon mercato svaluta l’euro e questo ha ulteriormente rafforzato il made in Germany. L’attivo della bilancia commerciale tedesca è tanto elevato da ostacolare lo sviluppo economico e Draghi lo ha detto chiaramente. Dunque, ci sono tutte le condizioni perché Berlino aumenti la domanda interna e perché le istituzioni finanziarie si adattino al nuovo ambiente macroeconomico. Come è successo del resto negli Stati Uniti. E, fino a prova contraria, gli Stati Uniti crescono più della Ue; quanto alle banche e alle assicurazioni americane sono le più solide e quelle che oggi fanno più profitti. Ai tedeschi Draghi l’americano piace ancor meno di Draghi l’italiano. “E’ più preoccupato di quel che pensano e fanno i mercati finanziari che non della sorte dei risparmiatori tedeschi”, dicono i collaboratori di Schäuble. E non può mostrarsi come “l’uomo che non sbaglia mai”. A Berlino sostengono che non è facile trovarlo nel suo ufficio di Francoforte e alla Bce non c’è più nemmeno l’uomo che sapeva meglio spiegare il punto di vista tedesco e del quale lui si fidava, Jörg Asmussen, economista socialdemocratico che ha studiato alla Bocconi ed è stato anche nello staff di Schäuble: adesso fa il viceministro del Lavoro e pensa ad altro.

 

La convinzione di fondo, anche di chi continua ad apprezzare e sostenere Draghi, è che non conosca abbastanza la struttura del sistema tedesco e i suoi punti più sensibili. Lo spiega il Financial Times in un lungo articolo intitolato “Germania: Draghi contro le banche”. Solo il 52 per cento dei tedeschi possiede una casa e ha potuto approfittare del boom edilizio, il 14 per cento appena degli adulti investe in azioni, quindi i risparmiatori, che non amano prendere rischi, non sono interessati direttamente da quel che accade in Borsa. Ciò vale anche per i fondi pensione che non sono legati alle azioni. Semmai sono molto più importanti le polizze vita e i conti vincolati in banca. Le casse di risparmio (che sono rimaste fuori dall’unione bancaria, quindi possono sfuggire ai rigidi criteri patrimoniali imposti dalla Bce) pur di remunerare almeno un po’ i depositi, hanno preferito mettere in conto le perdite provocate dalla differenza tra i tassi ufficiali e quelli alla clientela. Secondo la Bundesbank, l’anno scorso la decisione di ridurre il tasso sui depositi presso la Bce è costata 248 milioni di euro alle 1.500 banche che formano un sistema molto polverizzato e poco efficiente. “Cercheremo di resistere il più possibile, l’uomo della strada deve essere protetto”, dice Gunter Dunkel della NordLB, la banca regionale basata a Hannover. Ma fino a quando? “Gli schemi pensionistici stanno soffrendo più di tutti”, sostiene Frank Grund, il supervisore delle assicurazioni e dei fondi. In media i tassi dei contratti esistenti sono attorno al 3,28 per cento, come si fa a sostenerli se i rendimenti dei Bund decennali sono a zero?

 

Draghi riconosce che questo ramo dell’industria finanziaria è sotto pressione, ma nega che la causa principale siano gli interessi troppo bassi imposti dalla Bce. In ogni caso la sua priorità, anzi il suo mandato, è riportare i prezzi attorno a una crescita del 2 per cento l’anno e rilanciare la ripresa. Banche e assicurazioni saranno, a quel punto, beneficiate mentre la politica monetaria potrà tornare sul suo sentiero tradizionale. Solo allora, non prima. Ciò vuol dire che terrà la linea fino all’autunno del 2017, così come ha annunciato. Ma il prossimo anno in Germania ci sono le elezioni. E, a mano a mano che il voto s’avvicina, sale la temperatura politica. Cdu e Csu temono uno smottamento della loro base elettorale verso la AfD. Anche i socialdemocratici che finora sono rimasti molto cauti e hanno sempre messo in guardia dall’attaccare l’indipendenza della Bce, sentono la pressione dal basso, soprattutto dei pensionati presenti e futuri. Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia e capo della Spd, se l’è presa con l’inazione dei governi che hanno lasciato sola la banca centrale trasformandola in una sorta di “falso governo economico”. Ma all’interno del ministero aumentano le critiche a una politica che “mina la fiducia di chi lavora duro per mettere da parte un piccolo gruzzolo in vista della pensione”. Oltretutto, ancora non si vedono effetti consistenti di tutta questa moneta a buon mercato sul prodotto lordo della zona euro.

 

A questo punto comincia a circolare una sorta di tam tam: o Draghi cambia o si cambia Draghi. Una scelta traumatica, però se il braccio di ferro finisse in tribunale, diventerebbe quasi inevitabile. Chi andrebbe al suo posto? Sostituirlo con Weidmann sarebbe una mossa troppo smaccata, tale da spaccare ancor più la banca e i governi. Il candidato ideale, stando a quel che si sente, è l’attuale governatore della Banca di Olanda, Klaas Knot, membro del Financial stability board, molto apprezzato anche da Mark Carney, l’economista canadese che presiede la Banca d’Inghilterra e lo stesso Fsb. Knot è un pragmatico, ma si muove in sintonia con la Bundesbank, così come il governo olandese fa da sponda a quello tedesco. Vedremo; si tratta solo di voci, anche se è molto più che un gioco di società per far passare davanti a una bionda birra le lunghe serate di Francoforte. Draghi oggi ha una maggioranza molto ampia e solida, tanto che finora la Bundesbank è rimasta isolata. Ma i tempi della politica sono spietati e possono accelerare improvvisamente.

 

Il consiglio della Bce che si è riunito a Vienna il 2 giugno ha registrato incoraggianti progressi dell’economia, ma la crescita è lenta e l’inflazione di poco superiore a zero. Dunque, i tassi di interesse resteranno bassi a lungo. “Così la gente ritira i depositi dalle banche”, ha detto un giornalista tedesco rimbeccato da Draghi: “Non abbiamo nessuna prova che ciò stia accadendo, negli Stati Uniti gli interessi sono a zero da 7-8 anni, noi abbiamo cominciato solo nel novembre 2011”. Draghi non molla, è un vero Drache (il drago in tedesco). Anzi rilancia: “Le nostre misure funzionano. Da questo mese partirà un nuovo acquisto di titoli delle imprese. Ma siamo pronti a fare ancora di più per realizzare il nostro mandato. Sono i governi a non aver fatto abbastanza. Se le riforme strutturali fossero andate più avanti, anche la politica monetaria sarebbe più efficace”. La sfida è aperta, e una cosa è certa: l’economista italiano cresciuto dai gesuiti e forgiato tra Roma e Cambridge (Massachusetts) non getta la spugna. Anzi, come ha fatto capire chiaramente anche giovedì, alza la guardia e prepara l’uppercut.

Di più su questi argomenti: