la liberazione
La procura di Firenze perde i suoi pm d'assalto. Grazie anche al Csm
Un merito può essere attribuito al nuovo Consiglio superiore della magistratura: quello di aver riportato ordine alla procura fiorentina, trottola impazzita della giustizia italiana con le sue inchieste show sulle stragi mafiose, attribuite a Berlusconi, e contro Renzi
La procura di Firenze continua a perdere pezzi: dopo il cambio di procuratore e l’addio di Tescaroli, è arrivata anche la nomina da parte del Csm dell’aggiunto Gabriele Mazzotta come nuovo avvocato generale della Cassazione. A fine anno, inoltre, andrà in pensione il pm Luca Turco. Insomma, un merito può essere attribuito al nuovo Csm: quello di aver riportato ordine alla procura fiorentina, trottola impazzita della giustizia italiana con le sue inchieste show.
Nessun repulisti, sia ben chiaro, anche perché il Csm non ne avrebbe la possibilità: come è stranoto, i magistrati sono inamovibili, a meno che non intervengano trasferimenti frutto di sanzioni disciplinari. Al nuovo Consiglio, però, va riconosciuta la capacità di aver colto ogni volta la palla al balzo per “accompagnare all’uscita” i pm fiorentini d’assalto.
Innanzitutto, lo scorso luglio il Csm ha nominato il nuovo capo della procura, dopo l’uscita di scena di Giuseppe Creazzo. La scelta è ricaduta su Filippo Spiezia, vicepresidente dal 2017 di Eurojust, l’agenzia di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea, ed ex pm della procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Spiezia ha prevalso su Ettore Squillace Greco, procuratore di Livorno e storico esponente di Magistratura democratica. Un profilo, quello di Spiezia, caratterizzato decisamente da maggior moderazione e riserbo, in discontinuità con la direzione intrapresa negli ultimi anni dalla procura di Firenze con le sue inchieste dall’ampio impatto mediatico.
Lo scorso marzo è arrivato il vero colpo di scena: Luca Tescaroli, procuratore aggiunto a Firenze per sette anni e mezzo, è stato nominato dal Csm nuovo procuratore di Prato. Con Tescaroli se ne va un pezzo di storia della giustizia fiorentina, quella più recente e complottista. Il nome di Tescaroli è infatti da sempre legato a una delle indagini più surreali degli ultimi decenni: quella nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, accusati di essere i mandanti esterni delle stragi di Cosa nostra nel biennio 1993-1994. Tescaroli ha ipotizzato per la prima volta il coinvolgimento del fondatore di Forza Italia e del suo braccio destro nelle stragi mafiose alla fine degli anni Novanta, quando era sostituto alla procura di Caltanissetta. L’inchiesta non portò a nulla e venne archiviata.
Arrivato a Firenze, nel 2017 Tescaroli ha riaperto di nuovo l’indagine, che è tornata a occupare le prime pagine dei giornali nel 2021, in virtù di strane fughe di notizie e iniziative a dir poco singolari. Come una serie di perquisizioni e sequestri disposti nei confronti di alcuni famigliari del boss Giuseppe Graviano, alla ricerca di documenti che dimostrassero finanziamenti mafiosi a Berlusconi negli anni Ottanta, cioè a distanza di quarant’anni dai fatti. Queste attività, peraltro, sono state bocciate dalla Corte di cassazione in quanto aventi “finalità meramente esplorative”.
D’altronde, Tescaroli aveva già dato sfoggio della sua inventiva inquisitoria quando da pm di Roma si era occupato dell’inchiesta “Mafia Capitale”, poi crollata davanti alla Cassazione, che escluse la sussistenza dell’associazione mafiosa, dopo però che per anni l’indagine aveva esposto la città di Roma e tutto il paese al ludibrio del mondo.
Promosso Tescaroli a Prato, giovedì scorso il Csm ha promosso un altro procuratore aggiunto fiorentino, Gabriele Mazzotta, come avvocato generale della Cassazione. Anche Mazzotta, esponente della corrente di sinistra Area, è ritenuto vicino alla vecchia guardia più attivista della procura.
La rivoluzione all’interno della procura di Firenze si concluderà a fine anno, quando un altro pm simbolo, Luca Turco, andrà in pensione. Ormai può essere definito il “magistrato della famiglia Renzi”, nel senso che a lui deve essere attribuito l’accanimento giudiziario che negli ultimi anni ha riguardato Matteo Renzi e poi si è allargato a tutta la sua famiglia (genitori, sorella, cognato), e a conoscenti e amici.
Un’attività piena di buchi nell’acqua, archiviazioni, sonore bocciature da parte della Cassazione e persino della Corte costituzionale. Fu Turco, insieme al collega Antonino Nastasi, ad acquisire nell’ambito dell’inchiesta Open le e-mail e le chat di Renzi, senza chiedere l’autorizzazione al Parlamento, come previsto dalla Costituzione, una condotta poi dichiarata illegittima dalla Consulta.
C’è da chiedersi come la procura fiorentina saprà risollevarsi da queste macerie del diritto.
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