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Colletti bianchi, massoneria, politica

Il maxi processo Rinascita-Scott è un enorme storytelling sulla 'ndrangheta

Maurizio Crippa

La requisitoria del procuratore Gratteri chiede 4.744 anni di carcere per 332 imputati. Ci sono alcuni boss delle famiglie, sì, ma sembra prevalere il racconto di “una associazione ‘anagrafico chiacchierona’”. Le richieste esorbitanti, come i 17 anni a Pittelli. Sentenza a settembre

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C’è silenzio nell’aula bunker di Lamezia Terme mentre parla il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri”. L’incipit da poliziottesco anni 70 del Fatto vale un presagio. Si avvia alla conclusione il Grande processo del decennio, quello con l’ambizione implicita, ma esplicita sui media, di replicare il maxiprocesso di Palermo. Ma il tono del Fatto, e idem per il paginone ieri del Corriere, fa presagire di essere davanti innanzitutto all’ennesimo grande storytelling. Al processo monstre in cui, comunque vada, sarà più importante la “ricostruzione”, il “contesto”, del verdetto.

 

Che sarà, in ogni caso, oggetto complessissimo, data la quantità di imputati e varietà di reati. Il procuratore Gratteri ha concluso la requisitoria per il processo “Rinascita Scott”, nome dell’inchiesta del 2019 che portò a centinaia di arresti – molti “colletti bianchi”, come si dice per significare livelli occulti. Un processo enorme, per il quale è stata costruita un’apposita aula bunker: 332 imputati e 400 capi d’accusa per i quali la procura ha chiesto 4.744 anni di carcere. 913 testimoni e più una sessantina di pentiti.

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Bene: la ’ndrangheta è la mafia più pericolosa in Europa, anche se si fa notare di rado, e le accuse riguardano famiglie potenti come i Mancuso. Ma il tema (come fosse un tema musicale) del processo è un altro, non sono i membri delle organizzazioni criminali. Sono i “pezzi infedeli dello stato ai quali la Dda di Catanzaro è riuscita a dare un nome e un cognome”. Perché “Rinascita-Scott è stata l’inchiesta che ha messo a nudo il mondo di mezzo tra ’ndrangheta e politica nel Vibonese”. Coi “voti in cambio di favori”. Qualche dubbio, anche senza essere per forza “pro reo”, leggendo la grande trama viene. Soprattutto quando si salta di registro: “L’inchiesta ha fornito anche tanti particolari sul ruolo delle logge massoniche”, dacché “il processo narra della frantumazione interna alla città di Vibo Valentia in più consorterie criminali”. Tra i pezzi grossi alla sbarra c’è Gianluca Callipo, ex sindaco di Pizzo accusato “di concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in abuso d’ufficio per omissione aggravato dalle finalità mafiose”. E soprattutto, sbandierato come un trofeo e ritratto dai giornali come un nuovo fratello Salvo di chissà quale cupola, c’è l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, “avvocato e massone accusato di concorso esterno con la ’ndrangheta”. Il famoso reato che non c’è, ma per lui la richiesta esorbitante è di 17 anni di carcere.  Nonostante sia tornato in libertà dopo ben tre anni di restrizioni con una sentenza della Cassazione che ha respinto un ricorso della procura di Catanzaro: non c’era motivo di detenzione. Nelle sentenze ci saranno molte condanne, e di certo tutte legittime. Ma l’impostazione generale ha sollevato qualche domanda garantista. Ad esempio sul Dubbio, Ilario Ammendolia, storico protagonista nelle battaglie per la legalità in Calabria, ha scritto: “Bisogna guardare le richieste di pena avanzate nella requisitoria… Ritengo siano state concepite più per stupire e far rumore che per la reale gravità dei reati che sono appena accennati nella requisitoria”. E ancora: “Da quanto sono riuscito a capire per gran parte degli imputati ci sarebbe una specie di associazione ‘anagrafico-chiacchierona’ in cui molto si parla… Insomma il reato diventa molto meno visibile e importante delle chiacchiere telefoniche o delle parole dei pentiti. E’ giustizia sommaria. Soprattutto ingiusta verso centinaia di persone ‘senza nome’, che rischiano di pagare prezzi altissimi alla giustizia spettacolo”.

 

E ancora: “Ciò premesso, chiedere 17  anni di carcere per l’avvocato Giancarlo Pittelli di 70 anni – senza una sola goccia di sangue a suo carico – significherebbe infliggergli di fatto il carcere a vita”. I  teoremi giudiziari in Italia destano da decenni legittimi sospetti. E le inchieste di Gratteri (il caso Cesa, quello dell’ex presidente calabrese Oliverio) spesso eccedono. La sentenza è prevista per settembre e noi attendiamo fiduciosi. Che sempre allegri bisogna stare.

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