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Le motivazioni dell'archiviazione di Conte e Speranza nell'inchiesta Covid

Ermes Antonucci

Il Tribunale dei ministri: "Non c'è prova delle morti per la mancata zona rossa". I giudici demoliscono la perizia di Crisanti e ristabiliscono la centralità della politica

Il Tribunale dei ministri di Brescia ha archiviato le posizioni dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, indagati nell’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione della prima fase della pandemia in Val Seriana. Entrambi erano accusati di omicidio colposo ed epidemia colposa. In ventinove pagine di motivazioni, il collegio giudicante ha demolito l’impianto accusatorio, che si basava anche su una perizia redatta dal microbiologo Andrea Crisanti (oggi senatore del Pd), secondo la quale la tempestiva applicazione della zona rossa avrebbe risparmiato 4.148 decessi. “Agli atti – scrivono i giudici – manca del tutto la prova che le 57 persone indicate nell’imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero state se non ci fosse stata la zona rossa”. “Il prof. Crisanti – si legge subito dopo – ha compiuto uno studio teorico ma non è stato in grado di rispondere circa il nesso causale tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate. La contestazione dell’omicidio colposo in relazione alla morte delle persone indicate in imputazione si basa  quindi su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro”.

 

Sulle accuse mosse all’ex ministro Speranza, il Tribunale dei ministri sottolinea che “le omissioni e i ritardi descritti dalla nota di trasmissione della procura di Bergamo riguardano attività amministrative, distinte dalle funzioni ministeriali di indirizzo politico-amministrativo, di esclusiva pertinenza del segretario generale del ministero della Salute e delle direzioni generali. Al ministro della Salute era preclusa qualsiasi ingerenza nello svolgimento di tali attività”. 

 

Insomma, non è possibile contestare sul piano giudiziario a Speranza delle condotte che rientrano nell’ambito della discrezionalità politica, a maggior ragione a fronte di un fenomeno caratterizzato da “fluidità e mutevolezza” come la pandemia di Covid-19. Non è un caso, in fondo, se quella di Bergamo è l’unica procura al mondo ad aver accusato il governo di aver favorito la diffusione della pandemia.

 

Questo punto cruciale viene evidenziato dai giudici anche con riferimento all’ex premier Conte. “Stando all’imputazione, l’allora presidente del Consiglio Conte avrebbe dovuto decidere, circa l’istituzione della zona rossa, proprio il 2 marzo 2020, ossia non appena avuta informazione della situazione dei due comuni” di Nembro e Alzano Lombardo. “Si tratta – scrivono i giudici – di ipotesi irragionevole perché non tiene conto della necessità per il presidente del Consiglio di valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti e incisi dall’istituzione della zona rossa”. Quest’ultima, infatti, comporta il sacrificio di diritti costituzionali come quello al lavoro, allo studio, di circolazione, di riunione, di iniziativa economica. “Si tratta quindi di valutazioni che, per la loro gravità, non è esigibile e neppure auspicabile che vengano assunte senza un’adeguata ponderazione dei dati di conoscenza acquisiti, del loro grado di certezza e delle conseguenze derivanti dall’istituzione di una zona rossa”, afferma il tribunale. 

 

Tutto ciò vale anche se si tengono conto i pareri forniti dal Comitato tecnico scientifico, che ancora il 26 febbraio 2020 riteneva che non vi fossero le condizioni per estendere le restrizioni in Lombardia. “Tenuto conto del parere espresso dal Cts, non si riesce, quindi, a comprendere su quali basi il presidente del Consiglio avrebbe dovuto istituire una nuova zona rossa in Val Seriana se anche il Cts non riteneva che ve ne fossero le condizioni”. Lo stesso vale per il 2 marzo, quando arrivarono le nuove informazioni sullo stato di contagio nei due comuni: “Ancora una volta, infatti, non si riesce a comprendere su quali basi il presidente del Consiglio avrebbe dovuto assumere una decisione tanto grave (la zona rossa, ndr) immediatamente, posto che nei giorni precedenti nulla gli era stato prospettato in merito e che le informazioni nonché i dati scientifici erano incerti e fluidi”.

 

Era quindi non solo ragionevole, ma anche necessario – proseguono i giudici – che il presidente del Consiglio acquisisse ulteriori elementi conoscitivi prima di istituire ulteriori zone rosse, dovendo contemperare diritti costituzionali di pari dignità. Si trattava quindi di una decisione politica sottratta al vaglio giurisdizionale”. 

 

Parole chiare e definitive contro il populismo giustizialista alimentato dai pm bergamaschi col supporto di Crisanti.