Caso Delmastro, il Dap: le carte su Cospito non andavano divulgate

Ermes Antonucci

Fonti dell'amministrazione penitenziaria: il sottosegretario alla Giustizia non avrebbe dovuto diffondere i dialoghi di Cospito con i mafiosi al 41 bis, poi rivelati alla Camera dal suo compagno di partito Giovanni Donzelli

Il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, non avrebbe dovuto riferire al suo compagno di partito (nonché coinquilino), Giovanni Donzelli, il contenuto delle informative del Dap sui colloqui tra Alfredo Cospito e i due mafiosi al 41 bis. Colloqui poi rivelati da Donzelli all’intera Aula della Camera in diretta televisiva nazionale. Lo confermano al Foglio diverse personalità che negli ultimi anni hanno ricoperto incarichi di vertice al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). I colloqui di Cospito erano infatti contenuti in informative non coperte da segreto, ma comunque di natura riservata.

 

I colloqui tra Alfredo Cospito e i due esponenti della ‘ndrangheta e della camorra reclusi nel carcere di Sassari non sono  stati intercettati nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria (e quindi coperti da segreto investigativo), ma sono stati registrati dagli agenti del Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria che quotidianamente monitora i comportamenti e i colloqui dei detenuti ritenuti più pericolosi. I testi dei colloqui ascoltati vengono trascritti in informative che vengono poi portate all’attenzione del capo del Dap, del ministro della Giustizia, del sottosegretario con delega al Dap (come nel caso di Delmastro) e a volte anche di altri organi, come la commissione antimafia. “Non sono atti coperti da segreto – spiega un ex capo del Dap, che preferisce non entrare nella polemica politica – ma sono comunque atti riservati interni”. Tradotto: “Non siamo di fronte a una violazione del segreto investigativo, ma a condotte censurabili sul piano politico e istituzionale”.

 

Insomma, è molto difficile che nelle condotte di Delmastro e Donzelli la procura di Roma, che ha aperto un fascicolo sulla vicenda, possa rintracciare elementi a supporto dell’ipotesi di reato di rivelazione di segreto d’ufficio. Ciò non toglie, però, che i comportamenti dei due sollevino serissime questioni di opportunità: da un lato, il sottosegretario alla Giustizia Delmastro ha rivelato al proprio compagno di partito e coinquilino il contenuto di atti riservati, riguardanti una vicenda molto delicata per la sicurezza pubblica; dall’altro lato, Donzelli (dimenticandosi di essere anche vicepresidente del Copasir) non ha esitato a riferire in Aula le informazioni ottenute e a utilizzarle come clava politica contro le opposizioni, accusate di fare il gioco di anarchici e mafiosi. Un pasticcio con pochi precedenti, che racconta molto anche dello scarso senso delle istituzioni dei due protagonisti. 

 

Come se non bastasse, sia Donzelli che Delmastro hanno mentito al Parlamento sulla natura delle informazioni veicolate. Il primo inizialmente ha addirittura evocato una fantomatica procedura di “accesso agli atti” presso il ministero della Giustizia (interpellato dai parlamentari, il capo di gabinetto di Nordio, Alberto Rizzo, è caduto dalle nuvole), versione poi smentita dallo stesso Delmastro, che ha raccontato di essere stato lui a svelare il contenuto dell’informativa al suo collega in Parlamento.

 

Ma il sottosegretario alla Giustizia ha continuato ad alimentare la lunga serie di incongruenze. Al Corriere della Sera Delmastro ha negato qualsiasi natura “segreta” dei colloqui: “Non sono classificati, né secretati e nemmeno riservati”. Eppure, come abbiamo visto, riservati lo sono eccome. Intervistato dal Foglio, ha scaricato ogni colpa sul collega Donzelli: “Non doveva leggere testualmente l’informativa del Dap”. Come se il problema fosse la lettura testuale o meno di un documento – lo ripetiamo – riservato. 

 

Insomma, i guai, più che giudiziari, sono di natura politica e istituzionale, e sono già tutti sul tappeto. Spetta a Meloni e Nordio trarne per coerenza le dovute conseguenze.