(foto Ansa)

La buona idea di depenalizzare (piace pure all'Anm) è già fallita

Annarita Digiorgio

La proposta del ministro Nordio è già stata tentata (senza particolare successo) in passato. Col risultato che il proliferare delle leggi si è oramai trasformato in pura discrezionalità

Non era mai successo finora che un Guardasigilli e l’Anm fossero entrambi contemporaneamente d’accordo sulle depenalizzazioni. Il ministro Carlo Nordio, uscendo dal Quirinale subito dopo aver giurato, si era detto favorevole alle depenalizzazioni e anche all’abolizione di parti del Codice Rocco, il diritto penale ancora in vigore. Il giorno dopo il presidente dei magistrati associati Giuseppe Santalucia gli aveva risposto: “I tentativi di depenalizzazione hanno prodotto poca cosa perché in questo paese è difficile depenalizzare. La norma penale è anche simbolica, se si depenalizza è come se si lasciasse la società priva di difesa. Così non è, ma c’è questo problema di consenso pubblico. Se il ministro ci riuscirà noi saremo con lui. In tanti ci hanno provato nel passato e in pochissimi ci sono riusciti”.

 

In effetti gli ultimi tentativi riusciti risalgono al governo Renzi, quando reati di lieve entità come gli atti osceni o l’ingiuria furono derubricati a illeciti amministrativi o civili. Altre volte tentativi più importanti sono stati interrotti da un’opinione pubblica mobilitata dalle parole d’ordine del populismo penale e del processo mediatico, che li trasformava in veri e propri “regali ai criminali” (se non addirittura in atti di collusione o concorso esterno). Si trovò di fronte a un muro invece l’ex presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, quando disse: “La sovrabbondante criminalizzazione delle condotte illegali e la sovraproduzione di norme incriminatrici, con la scelta del legislatore di individuare come unica sanzione quella penale, e come unico luogo della tutela il processo penale, porta a un sovraccarico di lavoro e accumulo di procedimenti e ritardi dei processi cui siamo i primi contrari.  Un ridimensionamento del penalmente rilevante attraverso una seria depenalizzazione non è più rinviabile”.

Infatti l’esigenza delle depenalizzazioni nasce proprio dalla necessità di velocizzare i processi (come richiesto dal Pnrr), ma anche da quella di garantire l’obbligatorietà dell’azione penale, che con il proliferare delle leggi si è ormai trasformata in discrezionalità. Invece tutti i governi, di tutti i colori, l’unica cosa che hanno sempre fatto è ricorrere al codice penale per risolvere allarmi sociali. E così, difronte ad ogni evento di cronaca, la risposta è stata introdurre nuovi reati e nuove aggravanti

Persino Andrea Orlando, che pure durante il suo mandato in via Arenula più volte nei discorsi ufficiali si è espresso contro il panpenalismo, è stato il ministro che ha introdotto più fattispecie di reato negli ultimi anni, uno per ogni evento di cronaca che leggeva sui giornali: omicidio stradale, caporalato, depistaggio, frode processuale, ecoreati, femminicidio, cyberbullismo, autoriciclaggio, falso in bilancio. L’ultimo tentativo di ricorso al penale da parte della sinistra è stato quello del ddl Zan. Ora il meccanismo è passato al governo Meloni. Nel primo Consiglio dei ministri, primo decreto la tipizzazione del reato di invasione. Come risposta  al primo evento di cronaca coinciso con l’avvio del governo. Eppure il rave di Modena è stato sgomberato pacificamente e prima che il nuovo reato fosse  introdotto, a dimostrazione della sua inutilità.

Del resto l’introduzione di nuovi reati quasi mai corrisponde a una funzione deflattiva dei fenomeni. Ad esempio, con l’introduzione dell’omicidio stradale non sono diminuite le vittime della strada. “Siamo al modaiolismo del processo penale”, disse Francesco Paolo Sisto, oggi vice ministro della Giustizia, quando il governo del Pd introdusse il reato di tortura. Il guaio è che le mode passano, i processi aumentano, e le galere scoppiano. Ma gli allarmi non si risolvono con il codice penale, né i fenomeni sociali con lo stato morale.

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