il caso

Perché l'uscita di Autostrade dal processo Morandi non è uno scandalo

Ermes Antonucci

Il tribunale di Genova ha escluso Aspi e Spea come responsabili civili nell'inchiesta sul crollo del ponte Morandi. Diverse le reazioni indignate, ma i giudici hanno solo applicato alcuni principi basilari dello stato di diritto

A dispetto dei toni scandalistici usati da alcuni quotidiani, non c’è nulla di cui indignarsi per la decisione con cui il tribunale di Genova ha escluso Autostrade per l’Italia (Aspi) e Spea (la controllata incaricata della manutenzione della rete stradale) come responsabili civili nel processo in corso sul crollo del ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 causò la morte di 43 persone. Il collegio giudicante ha accolto, con il parere favorevole della procura, le istanze presentate dagli avvocati di Aspi e Spea, i quali avevano sottolineato un fatto inoppugnabile: le due società hanno partecipato alla fase dell’incidente probatorio, in cui sono state svolte le perizie sullo stato di degrado del ponte e che saranno usate come prove nel processo, come soggetti indagati (per responsabilità amministrativa) e non come responsabili civili. Di conseguenza, non potevano essere citate come tali nel processo.

 

Con l’esclusione dalla responsabilità civile, Aspi e Spea saranno quindi escluse da eventuali risarcimenti che potrebbero essere disposti a procedimento concluso. In caso di condanna, quindi, a pagare i risarcimenti saranno i singoli imputati (59 tra ex manager e dipendenti delle due società, oltre che dirigenti del ministero delle Infrastrutture), anche se le parti civili potranno comunque intentare una causa contro Aspi e Spea in sede civile.

 

Alcuni commentatori hanno parlato di “decisione cavillosa” e addirittura di codice di procedura penale “senza cuore”, sostenendo che la decisione di escludere la responsabilità civile delle due società si baserebbe su un aspetto meramente formale: se i legali di Aspi e Spea hanno partecipato all’incidente probatorio, anche polemizzando più volte con i periti, allora come si può affermare che non abbiano avuto la possibilità di esercitare il diritto di difesa? La risposta l’ha fornita il collegio giudicante, evidenziando che ciò che conta è la veste con cui le parti hanno partecipato all’assunzione della prova. E’ dalla veste che ci si vede attribuita che dipende “il contenuto del mandato ricevuto dai difensori e la strategia difensiva da adottare”, soprattutto considerando le “differenze strutturali tra la responsabilità amministrativa da reato dell’ente, che è responsabilità diretta per fatto proprio, e la responsabilità civile, che è invece responsabilità indiretta per il fatto dell’imputato persona fisica”. Peraltro, ricordano i giudici, l’esclusione del soggetto dal processo “non pregiudica in alcun modo che lo stesso possa essere chiamato a rispondere per i medesimi fatti in sede civile”.

 

Ma c’è di più. Si dà il caso, infatti, che sul piano penale sia Aspi che Spea, nella qualità di enti responsabili amministrativamente, abbiano già patteggiato una sanzione pecuniaria da 30 milioni di euro. Un principio cardine del nostro ordinamento, più volte stabilito dalla Corte costituzionale e ora evocato anche dai giudici genovesi, prevede che “una persona non possa essere contestualmente chiamata a rispondere per lo stesso fatto sia come autore sia come responsabile civile per la condotta del coimputato”. Ne deriva che la citazione dell’imputato come responsabile civile possa avvenire “solo nel caso in cui l’imputato venga prosciolto oppure ottenga una sentenza di non luogo a procedere”. Avendo già patteggiato, Aspi e Spea non possono essere chiamate a rispondere civilmente delle condotte degli altri imputati.

 

Nessuno scandalo, dunque, ma semplice applicazione di alcuni principi basilari del nostro ordinamento giuridico. Nessuna “ultima beffa alle vittime”, come ha scritto il Fatto quotidiano, se si considera che le famiglie di 42 delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi sono già state risarcite da Aspi (per una spesa di circa 67 milioni di euro). In tutto, Autostrade avrebbe versato circa 200 milioni tra parenti, feriti e sfollati.

 

Come sempre, la giustizia fa il suo corso, con le sue regole e i suoi principi, a dispetto del populismo giustizialista che fin dall’inizio ha circondato la vicenda. La politica potrà pure agitare la forca di fronte a eventi tragici di questo genere, come fece l’allora governo gialloverde (il presidente del Consiglio Giuseppe Conte disse che non si potevano "attendere i tempi della giustizia penale”, il vicepremier Matteo Salvini dichiarò che la strage aveva “nomi e cognomi ben precisi, qualcuno deve finire in galera”, senza menzionare le intemerate del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli contro Aspi e i Benetton), ma la decisione dei giudici genovesi ci ricorda che alla fine il nostro resta sempre, per fortuna, uno stato di diritto.