Veleno, coltello e correnti: la magistratura torna alle origini

Ermes Antonucci

Dimenticato lo scandalo Palamara del giugno 2019, i gruppi della magistratura associata sono tornati alla ribalta. Minacciano lo sciopero contro la riforma del Csm, si fanno la guerra e dominano, come i vecchi tempi, le procedure di nomina dei dirigenti degli uffici giudiziari

La tempesta innescata dallo scandalo Palamara nel giugno 2019 sembra ormai essere stata dimenticata, e dalla cambusa della nave decrepita della giustizia italiana sono rispuntate loro, agguerrite come non mai: le correnti della magistratura. Sono tornate a monopolizzare le procedure di nomina al Csm dei dirigenti dei più importanti uffici giudiziari del paese, ma, soprattutto, sono tornate a fare la guerra alla politica, con una spavalderia quasi invidiabile. Basta citare una data: il prossimo 19 aprile. E’ il giorno in cui all’aula della Camera approderà il testo di riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario sul quale le forze di maggioranza (esclusa Italia viva) hanno raggiunto l’accordo, dopo settimane di trattative. Ebbene, proprio quello stesso giorno, con una coincidenza dall’alto valore simbolico, l’Associazione nazionale magistrati si riunirà per stabilire le iniziative di mobilitazione da assumere contro la riforma. Un’entrata a gamba tesa contro il parlamento e il governo.

 

Nei giorni scorsi il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha evocato lo sciopero dei magistrati e così hanno fatto tutte le correnti togate (Magistratura indipendente, Autonomia e indipendenza, Area, Unicost), che con una raffica di comunicati stampa hanno invitato i vertici dell’associazione ad adottare decisioni drastiche contro norme ritenute punitive. Inutile ricordare che il compromesso raggiunto tra i partiti di maggioranza alla fine ha partorito un topolino: innovazioni positive su alcune questioni (le porte girevoli tra politica e magistratura, il passaggio di funzioni tra pm e giudici, le valutazioni del magistrato), ma un sistema elettorale bizzarro per l’elezione dei membri togati del Csm, basato sul sorteggio dei collegi, che non ridurrà in alcun modo il peso delle correnti. Senza parlare della mancata ridefinizione del ruolo e delle attribuzioni dell’organo di governo autonomo della magistratura, possibile solo con una riforma costituzionale. 

   
Nonostante ciò, le correnti si oppongono alla riforma Cartabia e minacciano lo sciopero. Con quale faccia tosta, verrebbe da dire, ricordando il giro di manovre spartitorie e di raccomandazioni (per la verità, già noto agli addetti ai lavori) emerso dallo scandalo Palamara. Un “quadro sconcertante e inaccettabile”, lo definì subito il capo dello Stato Sergio Mattarella, che un anno dopo rincarò la dose: “’E’ il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile”. Ma il coraggio, come diceva Manzoni, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare. Così, all’interno della magistratura non si è innescato nessun dibattito autocritico. Si è lasciata passare la tempesta, per poi ritornare alla situazione precedente come se nulla fosse accaduto. 

  
Ciò vale nei rapporti con la politica, contro la quale si minacciano scioperi, ma anche nei rapporti tra le stesse correnti, ciascuna impegnata a tutelare i propri interessi, senza risparmiare colpi. Pochi giorni fa, ad esempio, il gruppo di sinistra di Area si è opposta in Csm alla nomina di Marcello Viola (sponsorizzato da Magistratura indipendente)  alla guida della procura di Milano, poi comunque avvenuta, preferendo sostenere il proprio candidato Maurizio Romanelli, affermando che “l’immagine di indipendenza” di Viola fosse “oggettivamente appannata” a causa del caso Palamara, a cui però il magistrato è risultato estraneo. Quando nei giorni scorsi in parlamento è saltato il tentativo di innalzare l’età pensionabile delle toghe da 70 a 72 anni, Magistratura indipendente ha emanato una nota polemica avanzando “il sospetto” che lo scopo dell’iniziativa non fosse quello di mantenere in servizio qualche anziano magistrato e mettere una toppa ai vuoti di organico, bensì “favorire o penalizzare singoli magistrati”. Bersaglio indiretto della frecciata era Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione ed esponente delle toghe di sinistra. Le correnti sono tornate. Anzi, non sono mai andate via.  

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